Page 1750 - Shakespeare - Vol. 2
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130 IV, iii, didascalia York è Edoardo di Norwich, Duca di Aumerle (1373-1415). Fu personalità di rilievo
                 (implicato, fra l’altro, in più di un complotto) alle corti di Riccardo II ed Enrico IV. Fra i personaggi di
                 Riccardo II.
            131 IV, iv La cattura di Monsieur Le Fer ricalca un analogo episodio in 2-Enrico IV (la cattura di Sir John
                 Colevile da parte di Falstaff). Anche nelle Famous Victories si assiste alla cattura di un francese da
                 parte del clown di turno.
            132 IV, iv, 4 Corruzione del refrain di una canzone irlandese, Cailin og a’ stor (“fanciulla, tesoro mio”),
                 variamente musicata e citata nella letteratura del tempo.
            133 IV, iv, 14 Pistola scambia moi per moy (antica unità di misura equivalente a un moggio).
            134 IV, iv, 19 Pistola scambia il francese bras (l’s finale si pronunciava, prima di una pausa) con l’inglese
                 brass  (“ottone”  o  “bronzo”:  come  dire,  vile  moneta).  Si  traduce  con  un  equivoco  tra force  e
                 “forse”.
            135 IV, iv, 38 Come Falstaff, nell’episodio di Colevile, si vanta di sapere molte lingue, ma di saper dire, in
                 queste lingue, solo a proprio nome, così couper le gorge, grido di guerra di Pistola, è il solo francese
                 che costui intenda.

            136 IV, iv, 71 Nelle morality plays della tradizione il diavolo veniva messo in fuga, ululante, con una daga
                 di legno, e talvolta umiliato col taglio delle unghie.
            137 IV, v Il testo curato da Gary Taylor elimina il Delfino, le cui battute attribuisce al Borbone, e modifica
                 l’ordine dei versi.
            138 IV,  vi,  32  Il  racconto  della  morte  di  York  e  Suffolk  ha  chiaro  sapore  omerico  (un  racconto  non
                 dissimile è quello della morte di John Talbot, fatto dal padre, che muore a sua volta stringendosi il
                 figlio  al  petto,  in 1-Enrico VI).  I  detrattori  di  Enrico  fanno  osservare  che  egli  trattiene  a  stento  le
                 lacrime al racconto di Exeter, e un attimo dopo ordina di eliminare i prigionieri: è lo stesso re che
                 assiste impassibile alla condanna di Bardolfo, ma ordina ai suoi un comportamento esemplare: un re
                 umano a parole, freddo e crudele nei fatti. Ma Enrico è soltanto un uomo razionale.

            139 IV, vi, 37 Si è molto discusso su quest’ordine. L’episodio è nelle fonti, ma nulla costringe il poeta a
                 inserirlo  nel  dramma:  dopotutto,  egli  non  nomina  neppure  gli  arcieri,  e  liquida  in  poche  battute  la
                 grande  battaglia  campale.  Se  ha  incluso  tale  episodio,  lo  ha  fatto  per  dare  rilievo  alla  capacità  di
                 reazione del Re in una situazione di crisi. In Hall l’esecuzione è descritta in tutto il suo orrore, ma un
                 conto è dare l’ordine, un conto farlo eseguire in scena. Se i prigionieri sfilano sulla scena − sostiene
                 Gary Taylor − è per trovarvi la morte. Ma non è necessario arrivare a tanto: la loro presenza serve
                 a  testimoniare  l’entità  del  primo  successo,  travolgente  quanto  inatteso,  delle  armi  inglesi,  e  a
                 ricordare  la  schiacciante  superiorità  numerica  del  nemico.  «I  Francesi  han  riordinato  le  loro  unità
                 sbandate»: essi sono dovunque, dentro e fuori la scena, e l’esecuzione è un’urgente, drammatica
                 necessità  militare  (né  risulta  che  i  cronisti  francesi  l’abbiano  mai  condannata).  Il  pubblico  di
                 Shakespeare non ha bisogno di giustificazioni. Se oggi la durezza di Enrico turba lo spettatore, tanto
                 di guadagnato: servirà a ricordargli che la guerra è guerra.

            140 IV, vii, 10 L’ordine del Re trova giustificazione nelle parole dei due capitani. Un “ordine sacrosanto”:
                 non è servito a prevenire la strage dei serventi (per lo più ragazzi) − questa sì, “espressamente
                 contraria  alle  leggi  di  guerra”  −  ma  potrà  forse  prevenirne  altre.  Siamo  tuttora  nel  pieno  della
                 battaglia,  anche  se  Fluellen  sceglie  proprio  questo  momento  per  fare  confronti  fra  Enrico  e
                 Alessandro: un tocco di commedia che allenta la tensione delle atrocità testé consumate.

            141 IV,  vii,  29  Forse  la  battuta  più  accattivante  di  Fluellen.  Arriano  e  Strabone  attribuiscono  ad
                 Alessandro la teoria secondo cui l’Indo e il Nilo erano lo stesso fiume, data la presenza di coccodrilli
                 in entrambi. La battuta è ancora più incongrua se si pensa che al tempo di Shakespeare non c’era
                 fiume inglese, Tamigi compreso, senza i suoi salmoni.
            142 IV,  vii,  46  Agli  occhi  di  Fluellen,  pur  ben  disposto  verso  il  suo  re,  il  ripudio  di  Falstaff  equivale
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