Page 1764 - Shakespeare - Vol. 2
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Unico testo di quest’opera, e sufficientemente accurato, è quello dell’in-folio
del 1623, regolarizzato dai curatori con una puntuale divisione in atti e scene,
che resta comunque divisione esterna e artificiosa. Ma per i problemi testuali
non si può che rimandare all’ottimo sommario che ne fa Agnes Latham
nell’Introduzione alla sua edizione per lo Arden Shakespeare (1975), che qui
si segue.
Data e fonti
Come vi piace non appare nella lista che Francis Meres dette delle opere di
Shakespeare nel suo Palladis Tamia del 1598 (ma aveva davvero la pretesa
di essere esauriente?), e il copione fu registrato nello Stationer’s Register
nell’agosto 1600. Sulla base di questi dati (a parte altre torbide ipotesi, e con
l’eccezione di J. Dover Wilson e di qualche altro) i filologi tendono a supporre
che la commedia fu scritta nello stesso anno della sua prima
rappresentazione, il 1599, e non si sa se per la scena pubblica o per qualche
occasione matrimoniale a corte. Stanley Wells dice saggiamente (1988) che
la sua data di nascita cade “poco prima del Seicento”. La fonte principale è il
delizioso romanzo pastorale in prosa di Thomas Lodge, Rosalynde, Euphues
Golden Legacy, pubblicato nel 1590 e poi ristampato varie volte (nel ’92, nel
’96, nel ’98) che svolge, con toni più calcati, la stessa storia della commedia:
Rosader, corrispettivo di Orlando, è un forzuto rodomonte, la restaurazione
del vecchio Duca avviene con le armi. E Lodge inventa anche il set francese,
la Foresta delle Ardenne che chiama Arden, e inventa tutti i personaggi
principali tranne Jaques e Touchstone. Nel 1591, o giù di lì, viene
rappresentata a Londra la compagnia romanzesca Orlando Furioso
(naturalmente dall’Ariosto) del bell’ingegno universitario Robert Greene, che
dà a Shakespeare il nome del suo giovane personaggio, a meno che egli non
l’abbia ricavato dall’Ariosto tradotto da Harington nel 1591. Altre opere sono
ipotizzate come fonti, ma in sostanza Shakespeare trovava nella superficiale
ma brillante Arcadia del Lodge il suo intreccio, che egli rende ironicamente e
con sprezzatura, e faceva vivere i personaggi, tipi assai comuni nella gran
folla della commedia elisabettiana, di una vita che è solo sua, togliendo ogni
patina moralistica, rendendo ambigue le motivazioni e inetichettabili le
persone, e prendendo le distanze dal genere pastorale.
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