Page 1457 - Shakespeare - Vol. 2
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sull’umanità di Enrico c’è, in bene e in male, parecchio da dire; e in ogni caso
il sublime agnosticismo etico di Shakespeare lascia a ciascuno di noi la
responsabilità del giudizio morale. Come per Amleto, il personaggio
introverso per eccellenza, si è detto tutto e il contrario di tutto, lo stesso −
strano a dirsi − è avvenuto per l’estroverso Enrico. Si è anche detto che
nessun attore che si rispetti può far fiasco nella parte di Amleto, mentre
chiunque può fallire in quella di Enrico: un ruolo più problematico di quanto
potrebbe a prima vista apparire.
L’interpretazione più ovvia vede in Enrico l’uomo di azione, il rude e onesto
soldato, padrone del suo destino, trascinatore di uomini e suscitatore di
affetti. È quella di Laurence Olivier, nel memorabile film del 1944: un leader
of men aristocratico, solare, scanzonato e seducente, a cui si contrappone
(1989) la maschera sofferta dell’Enrico di Kenneth Branagh, plebea e
risentita: la maschera di un uomo solo e senza gioia, che nell’azione porta la
grinta e l’irruenza del capitano di una squadra di rugby. Il re di Olivier domina
con sicurezza gli eventi, quello di Branagh ne viene a capo a fatica. Entrambi i
registi fanno violenza al testo. Olivier, fedele allo spirito festivo del testo, ci
risparmia i nobili felloni, le minacciate rappresaglie su Harfleur, l’esecuzione
dei prigionieri, la fine di Bardolfo, le canagliate di Pistola, la stessa preghiera
del re, il deprimente Epilogo − e persino il maltempo. Branagh recupera, del
testo, tensioni e problemi, ma spoglia il Re dell’umore giocoso, del suo
robusto senso dell’umorismo, privando il dramma di una componente
essenziale.
Il suo stesso ruolo di «re-soldato» viene messo in discussione. «Solo a patto
di ridimensionare le sue funzioni di regnante − sostiene H.B. Charlton −
Shakespeare può permettersi di conquistargli le nostre simpatie.» Sollevato
dall’ordinaria amministrazione, egli percorre − alla testa dell’esercito, al
momento dell’imbarco, all’assedio e in battaglia − l’iter più sicuro per
diventare il beniamino delle folle. Grande come soldato, la sua grandezza di
re si dà per scontata; e a un comandante è dato di conservare la più gran
parte della sua umanità: «I soldati, è ovvio, son di gran lunga più umani dei
funzionari del Tesoro». Altri danno per scontata proprio la sua capacità di
regnante: quella del re-soldato è soprattutto una maschera, scrive Una Ellis-
Fermor. Esperto conoscitore di uomini e cose, Enrico V è in posizione
invidiabile, rispetto ai sovrani che l’hanno preceduto o gli succederanno sulla
scena. Da questo la sua «sconcertante» (forbidding) identificazione col ruolo
di sovrano: «Egli è tutto di un pezzo, non mostra incrinature. Non c’è nulla in
lui che non rientri in questo suo ruolo, nessuna aspirazione, interesse o