Page 1452 - Shakespeare - Vol. 2
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gusto dell’azione, sonanti disfide, bandiere al vento − c’è quella degli uomini
costretti a farla: fango e pioggia, fame e fatica, attese snervanti, spreco
insensato, squallore e miseria. La stessa battaglia di Agincourt, momento
decisivo e climax del dramma, è vista in modo frammentato e confuso:
nessuno capisce, nemmeno il Re − che non sa di aver vinto − come
veramente stiano andando le cose. Non a caso il Dover Wilson, nella sua
pregevole introduzione al testo, dichiara di aver capito più cose su Enrico
dalla Life of Allenby di Lord Wavell (la biografia di un soldato, scritta da un
soldato) che non da tutti i critici messi assieme: molti dei quali, in odio alla
guerra, vogliono vedere nell’eroica epopea di Enrico V un’angosciata denuncia
della guerra in sé, in Enrico, che quella guerra ha voluto e perseguito fino in
fondo, un falso eroe, e in Shakespeare un poeta di machiavellica astuzia,
intento alla più ironica delle celebrazioni.
Questa visione distorta − a cui si contrappone l’opposta visione di chi nel
patriottismo del dramma rivive emozioni e memorie recenti (l’orgoglio e la
volontà di resistenza dei giorni del Blitz, la grande retorica churchilliana sugli
happy few e la finest hour, l’attesa vibrante dello sbarco in Normandia) − non
tiene conto del tono fondamentalmente gioioso, ilare, esuberante del testo,
che molto deve al clima in cui è stato scritto: Filippo II di Spagna,
l’arcinemico, è morto da qualche mese: l’iniziativa è passata agli inglesi; il
Conte di Essex sfila acclamato per le vie di Londra, a sottomettere una volta
per tutte l’irrequieta Irlanda. E Shakespeare, mai così fervido di idee e di
progetti, nella pienezza dei suoi mezzi espressivi, si accinge a completare, in
quest’opera, il suo grand design, e veleggia felice, col vento in poppa, sulle
ali di quell’Immaginazione così nobilmente invocata nei Cori.
Può certo sembrare strano che un drammaturgo così alieno da celebrazioni,
così proclive a scoprire il rovescio di ogni medaglia, si trovi a celebrare senza
riserve mentali una pagina gloriosa di storia patria, il trionfo militare e
politico di un Cesare inglese, all’insegna del veni, vidi, vici, il principe che
convola a giuste nozze con la bella principessa: quella di Enrico V è una
success story troncata anzitempo da morte prematura − proprio quel che ci
vuole per fare di un uomo un mito. Un dramma, per esser tale, richiede una
trama articolata, nodi conflittuali, psicologie in cui scavare, libertà rispetto
alle fonti: che il poeta è costretto invece a seguire da presso, anche perché il
pubblico le conosce bene, e sa che l’impresa di Enrico, che sulla scena finisce
con l’acquistare i caratteri di una guerra-lampo, ha richiesto sei anni, due
campagne militari e un accidentato percorso negoziale. Shakespeare si trova
quindi di fronte a seri problemi d’impostazione, e li risolve nel modo più