Page 1451 - Shakespeare - Vol. 2
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PREFAZIONE







          Con Enrico V Shakespeare corona l’ambizioso disegno di consegnare ai posteri

          un  secolo  di  storia  inglese,  in  un  ciclo  di  otto  drammi  senza  soluzione  di
          continuità. L’opera, scritta e rappresentata nel 1599, completa una tetralogia
          che, iniziata nel 1594, comprende Riccardo II e le due parti di Enrico IV; e si

          ricollega, quale anello mancante, alle tre parti di Enrico VI  e  a Riccardo III:
          tetralogia composta tra il 1588 e il 1594, nella fase iniziale della carriera del
          poeta.
          Con  le  due  parti  di Enrico IV  −  che  tanto  successo  avevano  riscosso  sulla
          scena nel 1597 e 1598 − il nuovo dramma ha uno stretto legame organico:

          non se ne colgono tutte le implicazioni senza conoscere la ribellione giovanile
          del  principe  Hal,  il  conflitto  che  l’ha  opposto  alla  tormentata  figura  di  re
          Enrico IV − prigioniero di una regalità usurpata, il legame con Falstaff, estroso

          gaudente e, a suo modo, maestro di vita, e il ripudio finale di quest’ultimo:
          ineluttabile conseguenza dell’ascesa al trono di Enrico, che delle prerogative
          e responsabilità regali ha un alto concetto.
          Se  negli  altri  due  drammi  il  giovane  Enrico  divide  col  re  suo  padre  e  con
          Falstaff  il  ruolo  di  protagonista,  in Enrico V  diventa  protagonista  assoluto.

          Quasi  sempre  al  centro  dell’azione,  a  lui  spettano  il  30  per  cento  delle
          battute: solo ad Amleto e a Riccardo III, nell’opera shakespeariana, tocca un
          ruolo  più  esteso.  Il  nostro  giudizio  sul  dramma  è  pertanto  fortemente

          influenzato dalla nostra personale visione della figura di Enrico.
          E poiché la figura del Re s’identifica con quella del condottiero vittorioso, il
          nostro  giudizio  è  del  pari  influenzato  dalla  nostra  visione  della  guerra  di
          Enrico: guerra giusta e sacrosanta, o pura e semplice guerra di conquista? Si
          dà per scontato che la guerra sia giusta, ma non è Shakespeare a dirlo, sono i

          suoi personaggi. Il poeta, in compenso, ci mostra la guerra per quello che è,
          e ci costringe a meditare sui dilemmi di sempre − nitidamente espressi nel
          saggio  erasmiano On  Beginning  War  −  e  sull’eterna  domanda:  esiste  una

          guerra  che  possa  dirsi  giusta?  Diversamente  da  altri  drammi,  in  cui  eventi
          bellici fanno da sfondo all’azione scenica, in Enrico V la guerra è la sostanza
          stessa del dramma, e metà dell’azione ha luogo sui campi di battaglia. Essa,
          lungi  dal  ridursi  −  come  vorrebbe  qualcuno  −  a  «ornamento  rituale»,
          «concettismo  eroico»,  è  vista  e  sentita  come  qualcosa  di  estremamente

          reale;  e  accanto  alla  guerra  del  poeta  epico  −  mobilitazione  degli  spiriti,
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