Page 1455 - Shakespeare - Vol. 2
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disegno unitario, e tutte le sue energie convergono nell’affermazione di una
profonda esigenza di unità, di cui il Re si fa consapevole strumento. L’intera
azione drammatica − sottolinea Gary Taylor − si esprime in una dialettica di
progressiva eliminazione, scena dopo scena, di ogni elemento di turbamento
e divisione, morale e politica, e persino di ogni barriera linguistica. Gli
elementi irresponsabili, nobili e plebei, dell’uno e dell’altro campo, dal
superbioso Delfino all’innocuo Bardolfo, si perdono per strada. L’unione fa la
forza, è il messaggio del dramma: gli inglesi, messi con le spalle al muro,
tengono duro e vincono perché sono uniti. L’appello all’unità non è per nulla
retorico, ancorché espresso con mirabile eloquenza; e se il poeta ha inteso
celebrare qualcosa, in Enrico V, ha celebrato la vittoria − ahimè, temporanea
− dell’ordine e dell’armonia sul disordine e il caos.
Veniamo ora al personaggio di Enrico, che l’unità degli inglesi ha saputo
forgiare, con la parola e l’esempio. Nel dramma tutti, amici e nemici, lo
chiamano Harry, sempre e soltanto Harry, versione affettuosa, familiare di
Henry: si tratta, è chiaro, di un re benvoluto − «un uomo come gli altri» −
come il Re stesso vorrebbe far credere al soldato Williams, alla vigilia di
Agincourt. Ma l’immagine tradizionale di Enrico, con cui Shakespeare deve
confrontarsi, non è certo quella di un uomo come gli altri. Questo il ritratto
che ne fa Edward Hall, fonte primaria del poeta:
Cotesto Enrico fu un re dalla vita immacolata, dall’esistenza senza pecca. Un principe amato da tutti gli
uomini, e da nessuno spregiato. Un comandante cui sempre arrise la fortuna, cui mai la sventura volle
recar danno. Un pastore sempre amato e seguito con devozione da tutto il suo gregge. Un giudice che
non lasciò mai impunito delitto alcuno, né mai privò di ricompensa un gesto d’amicizia: un giudice così
temuto che ogni ribellione fu dal regno bandita e ogni sedizione schiacciata [...]. Pietoso egli fu con chi
errava, caritatevole verso i bisognosi, con tutti imparziale, fedele con gli amici e coi nemici implacabile, a
Iddio sommamente devoto, equanime nei confronti del mondo, e per il suo regno un autentico padre. Che
altro potrei dire? Egli fu la scintillante cometa, il luminoso segnacolo della sua epoca: lo specchio della
Cristianità e la gloria della sua nazione: il fiore di tutti i re del passato, ed un esempio specchiato per tutti i
re venuti dopo di lui. Né mai imperatore poté superarlo in magnanimità.
Una qualità sembra mancare a Enrico: la bellezza fisica. Su questo punto Hall,
prudentemente, tace. L’unico ritratto esistente, nella National Portrait Gallery,
mostra fattezze tutt’altro che accattivanti; ed è il Re stesso, nel dramma, a
scherzarci sopra, sulla propria bruttezza. «Shakespeare non ha eroi − aveva
detto il Dottor Johnson −, la sua scena è occupata soltanto da uomini». E
cosa c’è di più umano di un brutto simpatico? Ma non è facile, nemmeno per
Shakespeare, costruire un personaggio terreno e credibile dall’eroe senza
macchia della leggenda di Enrico.