Page 1133 - Shakespeare - Vol. 2
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«Allora», disse il Re, «affido tutto a Dio e ti ricordo di agire rettamente». Con
          ciò  si  volse  nel  suo  letto  e  poco  dopo  rese  l’anima  a  Dio  in  una  stanza
          dell’Abate  di  Westminster  chiamata  «Gerusalemme»  [...]  Fu  colto  da  un
          malore così forte e improvviso, che coloro che gli erano vicini temevano che

          morisse  subito  [cfr.  IV,  iv,  114-117],  perciò  per  rianimarlo  (se  possibile)  lo
          portarono  in  una  stanza  che  era  vicina,  appartenente  all’Abate  di
          Westminster,  dove  lo  coricarono  su  una  stuoia  davanti  al  fuoco  e  usarono
          tutti  i  rimedi  per  farlo  rinvenire.  Alla  fine,  riprendendo  la  parola  e

          l’intendimento,  e  vedendosi  in  un  luogo  strano  che  non  conosceva,  volle
          sapere  se  la  stanza  aveva  un  nome  particolare,  al  che  fu  risposto  che  era
          chiamata «Gerusalemme». «Allora», disse il Re, «sia data lode al Padre del
          Cielo, poiché ora so che morirò in questa camera, secondo la profezia a mio

          riguardo, che avrei lasciato questa vita in Gerusalemme».
          Se sia vero che egli così abbia parlato, come uno che dava troppo credito a
          sciocche profezie e vane storie, o se sia invenzione, come in tali casi avviene
          comunemente, lo lasciamo giudicare al lettore avvertito.



          [Coronazione di Enrico V]

          Fu  coronato  il  nove  aprile  [1413],  Domenica  di  Passione,  che  fu  un  giorno
          brutto  e  tempestoso,  con  vento,  neve  e  nevischio,  sicché  gli  uomini  si
          meravigliarono  assai,  dando  diverse  interpretazioni  di  cosa  ciò  potesse
          significare. Ma il Re, decidendo subito per suo conto che nella sua persona gli

          onori principeschi avrebbero cambiato i costumi pubblici, risolse di assumere
          la forma di un uomo nuovo. E mentre in precedenza si era accompagnato con
          gentaglia indisciplinata di abitudini e vita dissolute ora tutti li bandì dalla sua

          presenza  (ma  non  senza  compenso  e  favore),  proibendo  loro  sotto  grave
          pena  di  avvicinarsi  una  sola  volta,  abitare  o  soggiornare  entro  dieci  miglia
          dalla sua corte e persona; e in loro luogo scelse uomini di serietà, intelletto e
          alta capacità, con i cui saggi consigli potesse sempre governare a suo onore e
          dignità, ricordando che una volta, con alta offesa contro il Re suo padre, egli

          aveva col pugno colpito il Primo Giudice per aver mandato uno dei suoi amici
          (che  l’aveva  meritato)  in  prigione,  nella  quale  occasione  il  Giudice
          severamente aveva ordinato che anche lui fosse posto in prigione, ed egli (il

          Principe) aveva obbedito [cfr.  V, ii, 110-112]. Il Re in seguito lo espulse dal
          suo Consiglio Privato, lo bandì dalla corte, e nominò il Duca di Clarence (suo
          fratello minore) presidente del Consiglio in luogo suo.
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