Page 316 - Shakespeare - Vol. 1
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160 V, v, didascalia Con un nuovo balzo temporale Shakespeare trasporta lo spettatore nel 1444,
     quando Enrico VI decide, malgrado l’opposizione di Gloucester, di sposare Margherita d’Angiò e di
     arrivare a una nuova tregua con i francesi. Il litigio tra Gloucester, spalleggiato dal saggio Exeter,
     e Suffolk prefigura un cambio del potere al vertice. Il nuovo consigliere del re sarà il loquace e
     lezioso William De La Pole, Conte di Suffolk, più capace di discettare d’amore che di politica.
     Quello che non poté la spada della Pulzella, otterrà la bellezza incantatrice della regina.

161 V, v, 96-101 Enrico VI, ormai folgorato dall’eloquenza di Suffolk (lui che si era detto in
     precedenza più adatto agli studi libreschi che ai giochi amorosi), rinfaccia a Gloucester «quello
     che sei stato», cioè il suo primo controverso matrimonio con Lady Jaquet, già moglie del Duca di
     Brabante. L’attesa ansiosa dell’amata, descritta in termini esagerati e pedanteschi (ruminate),
     conferma l’inesperienza del re, che, d’altra parte, ha dovuto prendere la decisione impopolare di
     tassare i suoi sudditi per finanziare il viaggio di Margherita in Inghilterra.

162 V, v, 103-106 Suffolk si paragona, con una certa boria, a Paride, che rapì a Menelao la moglie
     Elena, ma, dal momento che quell’episodio innescò la guerra di Troia con la conseguente
     sconfitta dei Troiani, non manca di augurarsi miglior fortuna. I fatti lo smentiranno. Intanto,
     però, l’Inghilterra, che all’inizio dell’opera si era raccolta attorno al feretro del valoroso Enrico V,
     corre il rischio di essere governata (I will rule) da un aristocratico ambizioso, il quale ha
     combinato un matrimonio politicamente nefasto tra il suo ingenuo sovrano e una squattrinata
     nobildonna francese, forse la sua amante. Al sogno di una grande monarchia estesa sulle due
     sponde della Manica si sostituiscono i sordidi desideri dei singoli, i calcoli di piccoli Machiavelli da
     strapazzo. Su questa nota amara si chiude la prima parte dell’Enrico VI.
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