Page 313 - Shakespeare - Vol. 1
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potrebbero derivargli dalla sconfitta inglese.

125 IV, iii, 52-53 L’assonanza «fango»/«ramengo» cerca di rendere la rima inglese, assai secca
     (cross/loss). A questo punto Hattaway suggerisce che Lucy esca di scena, per ricomparire tra il
     v. 9 e il v. 10 della scena successiva. L’emendamento sembra superfluo.

126 IV, iv, 41 Accettiamo l’emendamento di Cairncross, che legge side (syde) al posto di ayde nell’in-
     folio.

127 IV, v, didascalia L’episodio dell’incontro e della morte dei due Talbot a Castillon (non a Bordeaux)
     avviene nel 1453 ed è descritto sia da Hall che da Holinshed. Dal verso 16 in poi e ancora nella
     scena che segue il drammaturgo fa largo uso della rima baciata. Per sottolineare la differenza tra
     queste scene e il resto dell’opera abbiamo utilizzato un linguaggio melodrammatico, volutamente
     arcaizzante. A questo punto, annota Cesare Vico Lodovici nella già citata versione einaudiana in
     prosa: «Il testo procede [...] a distici a rima baciata, che danno l’impressione di ‘cantate di
     gesta’. Ogni tentativo di riprodurre l’intenzione resta vano». D’altra parte, la nobile gara tra
     Talbot e il figlio si risolve in un canto del cigno di quelle virtù eroiche destinate a scomparire dalla
     trilogia assieme alla discendenza del vecchio guerriero. Più che come cervi maestosi, Talbot e il
     figlio appaiono animali preistorici su una Terra che non conosce più onore e lealtà, dominata
     com’è da massacratori e da machiavellici capi. Si potrebbe anche osservare che la fuga di
     Talbot, invocata dal figlio, avrebbe avuto le sue buone motivazioni strategiche, ma il generoso
     duetto di anime sublimi soddisfa un’esigenza emotiva che il pubblico elisabettiano, appena
     scampato dalla minaccia d’un’invasione spagnola e cattolica, doveva recepire senza alcuna
     riserva.

128 IV, vi, 54-55 Ci si riferisce alla nota leggenda, raccontata anche da Ovidio nelle Metamorfosi, di
     Icaro, figlio di Dedalo, che, fuggendo dal labirinto di Creta con le ali fabbricate dal padre, si
     innalza verso il sole, provoca lo scioglimento della cera che teneva unite le piume, e muore
     precipitando in mare. Alla fine della trilogia, nella terza parte dell’Enrico VI (V, vi, 21), anche il re
     sconfitto, in procinto di essere ucciso da Riccardo di Gloucester, paragonerà se stesso a Dedalo
     e il figlio già trucidato a Icaro.

129 IV, vii, didascalia Commenta M. Quadri (Nel laboratorio di Shakespeare. La prima tetralogia, p.
     81): «Il drammaturgo riprende dalla fonte la notizia della morte dei due Talbot (Hall), ma nel
     costruire la scena elabora un diverso intreccio, ed integra, in tal modo, il materiale narrativo con
     nuovi elementi. In tal senso sono da considerarsi invenzioni sia la sottosequenza [...] in cui
     Talbot, ferito a morte, spira stringendo il corpo esanime del figlio, sia il successivo commento dei
     Francesi sul coraggio del giovane Talbot».

130 IV, vii, 18-22 antic Death è la morte beffarda, clownesca, che appariva come un personaggio
     nei morality plays. Vale la pena di riportare qui la traduzione di stampo manzoniano proposta nel
     1928 da Diego Angeli per l’Enrico VI pubblicato dai Fratelli Treves Editori: «O buffonesca morte
     che ti prendi / giuoco di noi per insultarci, in breve / liberi al fin dall’insultante tua / tirannia i due
     Talbot riuniti / dai legami dell’immortalità / insieme voleran verso gli eterei / cieli ed al tuo aspetto
     sfuggiranno / all’oblio dei mortali...».

131 IV, vii, 25-28 Forzando il testo inglese, in cui la Morte, maschile, è paragonata a un Frenchman,
     il “nostro” Talbot parla della Morte francese come di «una nemica», adombrando così quello che
     in inglese non ci può essere, ma che ha comunque un suo sapore drammatico: la figura di
     Giovanna d’Arco.

132 IV, vii, 35-36 Qui come nei versi seguenti, sulla falsariga di altri dialoghi dove è coinvolta la
     Pulzella, non mancano le allusioni sessuali. Lo scontro tra Giovanna e il giovane Talbot acquista
     una valenza erotica (vv. 37-38), ma il cavaliere senza macchia rimane puro (vv. 40-41).

133 IV, vii, 60 Alcide, ovvero Ercole, una delle figure mitologiche più amate dal Rinascimento e
     utilizzata come capostipite di dinastie illustri. L’elenco di titoli che segue sarebbe stato inciso su un
     sepolcro di Talbot vicino a Caen, di cui non restano tracce. È da ricordare che da Talbot
     discendeva Ferdinando Lord Strange, protettore della compagnia di Shakespeare negli anni in cui
     veniva composta la trilogia dell’Enrico VI. Secondo W.F. Bolton ( Shakespeare’s Language in the
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