Page 21 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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prigione di questa credenza, immediatamente perderebbe tutta la sua sicurezza. Già gli costa
fatica riconoscere che l’insetto o l’uccello percepiscono un mondo totalmente diverso da quello
dell’uomo, e che non ha affatto senso domandarsi quale tra le due percezioni del mondo sia più
esatta, dato che per dirimere tale questione occorrerebbe una misura stabilita secondo il criterio
dell’esatta percezione, vale a dire secondo un criterio che non abbiamo a disposizione. Ma, in
generale, parlare di esatta percezione – così sarebbe chiamata l’espressione adeguata di un
oggetto nel soggetto – mi pare un’assurdità piena di contraddizioni: tra due sfere assolutamente
differenti quali sono il soggetto e l’oggetto non può sussistere infatti alcuna causalità, alcuna
esattezza, alcuna espressione, ma tutt’al più una relazione estetica, intendo dire una
trasposizione allusiva, una traduzione balbettante in una lingua totalmente straniera. A questo
scopo serve però, in ogni caso, una sfera intermedia e una forza intermedia che possa poetare e
inventare liberamente. La parola apparenza contiene molte insidie, ragion per cui la evito per
quanto è possibile: perché non è affatto vero che l’essenza delle cose appaia nel mondo
empirico. Un pittore, cui manchino le mani e voglia esprimere con il canto l’immagine che ha in
mente, rivelerà con questo scambio di sfere sempre più di quanto non faccia il mondo empirico
con l’essenza delle cose. Persino il rapporto di uno stimolo nervoso con l’immagine prodotta
non è in sé nulla di necessario; ma se questa stessa immagine viene prodotta milioni di volte e
trasmessa ereditariamente da molte generazioni di uomini, alla fine apparirà all’umanità intera
sempre in seguito alla medesima occasione, così da acquistare infine per l’uomo lo stesso
significato che le spetterebbe se essa fosse l’unica immagine necessaria e se quel rapporto dello
stimolo nervoso originario con l’immagine prodotta fosse di rigorosa causalità, così come un
sogno eternamente ripetuto verrebbe sentito e giudicato perfettamente come realtà. Ma
l’indurirsi e l’irrigidirsi di una metafora non offre assolutamente alcuna garanzia riguardo alla
necessità e alla legittimità esclusiva della stessa.
Ogni uomo cui siano familiari tali considerazioni ha certamente spesso provato una profonda
sfiducia contro ogni idealismo siffatto, una volta convintosi con sufficiente chiarezza dell’eterna
consequenzialità, onnipresenza e infallibilità delle leggi naturali. Egli ha tratto la seguente
conclusione: nella natura, fin dove possiamo giungere – dall’altezza del mondo telescopico alla
profondità di quello microscopico – tutto è sicuro, consolidato, senza fine, conforme a leggi e
senza lacune; in eterno la scienza scaverà in questi pozzi con successo, tutti i reperti
concorderanno gli uni con gli altri e non entreranno tra loro in contraddizione. Quanto poco ciò
assomiglia a un disegno di fantasia! Se così fosse, dovrebbe infatti essere possibile indovinare
da qualche parte la parvenza e l’irrealtà. Invece bisogna dire: se ognuno di noi possedesse una
percezione sensoriale di genere differente, noi stessi potremmo percepire una cosa ora come
uccello, ora come verme, ora come pianta; oppure, se lo stesso stimolo fosse visto da uno di noi
come rosso, dall’altro come blu, e addirittura udito da un terzo sottoforma di suono, allora
nessuno parlerebbe di una siffatta regolarità della natura, ma la si concepirebbe soltanto come
una costruzione del tutto soggettiva. Inoltre: cosa è per noi, in generale, una legge naturale? Essa
non ci è nota in se stessa, bensì unicamente nei suoi effetti, cioè nelle sue relazioni con altre
leggi naturali che, di nuovo, sono a noi note unicamente come relazioni. Tutte queste relazioni
rimandano dunque sempre e soltanto l’una all’altra e ci sono assolutamente incomprensibili