Page 23 - Nietzsche - Su verità e menzogna
P. 23
CAPITOLO II
Alla costruzione dei concetti, come abbiamo visto, lavora originariamente il linguaggio,
successivamente la scienza. Come l’ape costruisce le celle e insieme le riempie di miele, così
la scienza lavora inesorabilmente al grande colombario dei concetti, cimitero dell’intuizione,
costruendo piani nuovi e sempre più alti, consolidando, ripulendo, ristrutturando le vecchie
celle e soprattutto sforzandosi di riempire la gigantesca travatura eretta ordinando nei suoi
scaffali l’intero mondo empirico, vale a dire il mondo antropomorfo. Se l’uomo d’azione ancora
la sua vita alla ragione e ai concetti per non essere trascinato via e perdere se stesso, parimenti
il ricercatore costruisce la sua capanna a ridosso della torre della scienza per poter contribuire
alla sua costruzione e, al tempo stesso, trovare protezione sotto i bastioni che questa mette a
disposizione. E di protezione egli ha bisogno: ci sono infatti terribili forze che lo minacciano
senza posa, opponendo alla verità scientifica delle «verità» di natura totalmente diversa e con le
etichette più svariate.
Quell’impulso a formare metafore, quell’impulso fondamentale dell’uomo dal quale non si può
prescindere neppure per un istante, perché in tal caso si prescinderebbe dall’uomo stesso, non è
in verità sconfitto ma solo ammansito a stento dal fatto che, con i suoi volatili prodotti, i
concetti, venga costruito per lui un nuovo mondo, regolare e rigido, come roccaforte. Tale
impulso cerca così un nuovo campo d’azione e un altro alveo per il proprio flusso, trovandolo
nel mito e nell’arte in generale. Senza posa esso scompagina le rubriche e le celle dei concetti
con nuove trasposizioni, metafore, metonimie; senza posa rivela la brama di dare al mondo
dell’uomo desto un aspetto tanto variopinto, irregolare, privo di conseguenze, incoerente,
eccitante ed eternamente nuovo quanto quello del sogno. L’uomo desto forma in sé la chiara
convinzione di esser sveglio unicamente dalla rigida e regolare ragnatela dei concetti e, appunto
per questa ragione, giunge talvolta a credere di stare sognando quando tale ragnatela di concetti
viene lacerata dall’arte. Pascal ha ragione nell’affermare che se ogni notte ci si presentasse il
medesimo sogno, noi ne saremmo tanto assorbiti quanto dalle cose che vediamo ogni giorno:
«Se un artigiano fosse certo di sognare, per dodici ore piene, di essere un re, credo allora – dice
Pascal – che sarebbe altrettanto felice di un re che sogna per dodici ore di essere un artigiano».
La veglia di un popolo miticamente ispirato, diciamo ad esempio degli antichi greci, per la
meraviglia continuamente agente che il mito impiega risulta in effetti più simile al sogno che non
alla veglia del disincantato pensatore scientifico. Quando ogni albero parla come fosse una
ninfa o un dio può rapire vergini sotto il manto di un toro, quando la stessa dea Atena viene