Page 19 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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primordiale. Noi diciamo «onesto» un uomo e chiediamo: perché egli si è comportato oggi così
     onestamente? La nostra risposta è solita essere: a causa della sua onestà. L’onesta! Ciò significa
     di  nuovo:  la  foglia  è  causa  delle  foglie.  Noi  non  sappiamo  proprio  nulla  di  una  qualità

     essenziale  chiamata  «onestà»,  bensì  conosciamo  piuttosto  le  numerose  azioni  individuali,  e
     dunque  differenti  tra  loro,  che  equipariamo  tralasciando  le  diversità  e  designiamo  poi  come
     azioni oneste. Infine, formuliamo da esse una qualitas occulta con il nome di «onestà».
       Ignorare l’elemento individuale e reale ci fornisce il concetto e parimenti la forma, mentre la

     natura  non  conosce  né  forme,  né  concetti  e  neppure  generi,  bensì  soltanto  una  X  per  noi
     inattingibile  e  indefinibile.  Anche  la  nostra  contrapposizione  tra  individuo  e  genere  è  infatti
     antropomorfica e non proviene dall’essenza delle cose, seppure non osiamo dire che essa non
     corrisponde a tale essenza: ciò sarebbe infatti un’affermazione dogmatica e, come tale, tanto

     indimostrabile quanto il suo contrario.
       Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in
     breve  una  somma  di  relazioni  umane  che  furono  poeticamente  e  retoricamente  potenziate,
     trasposte  e  ornate  e  che,  dopo  un  lungo  uso,  sembrano  ad  un  popolo  fisse,  canoniche  e

     vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, metafore divenute
     logore  e  prive  di  forza  sensibile,  monete  che  hanno  perso  l’effigie  e  vengono  ora  prese  in
     considerazione non più come monete, ma soltanto come metallo. Non sappiamo ancora da dove
     provenga l’impulso alla verità: finora abbiamo infatti sentito parlare soltanto dell’obbligo che

     la società impone per esistere, quello di essere veridici, vale a dire di servirsi delle metafore
     usuali o, espresso in termini morali, dell’obbligo di mentire secondo una rigida convenzione, di
     mentire tutti insieme in uno stile universalmente vincolante. Ora, naturalmente, l’uomo dimentica
     che  le  cose  stiano  così  e  mente  nel  modo  designato  in  maniera  inconsapevole  e  seguendo

     abitudini secolari – giungendo proprio attraverso questa inconsapevolezza, questo dimenticare,
     alla sensazione della verità. Con la sensazione di essere obbligati a designare una cosa come
     rossa, un’altra come fredda, una terza come muta, si risveglia nell’animo un sentimento morale
     riferentesi alla verità: basandosi sull’esempio contrario del mentitore, del quale nessuno si fida,

     escluso da tutti, l’uomo dimostra a se stesso che la verità è rispettabile, degna di fiducia ed
     utile. Come essere razionale, egli pone ora il suo agire sotto il dominio delle astrazioni: non
     tollera più di essere trascinato dalle subitanee impressioni, dalle intuizioni, ma generalizza tutte
     queste impressioni in concetti scoloriti, freddi, per aggiogare ad essi il carro della sua vita e del

     suo  agire.  Tutto  quel  che  distingue  l’uomo  dall’animale  dipende  da  questa  capacità  di  far
     evaporare le metafore intuitive in uno schema, dunque di dissolvere un’immagine in un concetto.
     Nel campo di quegli schemi è infatti possibile qualcosa che giammai riuscirebbe con le prime
     impressioni  intuitive:  costruire  un  ordine  piramidale  secondo  caste  e  gradi,  creare  un  nuovo

     mondo  di  leggi,  privilegi,  subordinazioni,  confini  stabiliti  che  si  contrapponga  all’altro,
     intuitivo, delle prime impressioni, come più stabile, più generale, più noto, più umano e perciò
     regolativo ed imperativo. Mentre ogni metafora intuitiva è individuale e senza eguali e perciò sa
     sempre  sfuggire  ad  ogni  rubricazione,  la  grande  costruzione  dei  concetti  mostra  la  rigida

     regolarità di un colombario romano e fa rifluire nella logica quella rigorosità e freddezza che
     sono proprie della matematica. Chi è ispirato da questa freddezza stenterà a credere che anche il
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