Page 24 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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improvvisamente vista in compagnia di Pisistrato attraversare i mercati di Atene su di un bel
cocchio – e tutto questo è creduto vero dagli onesti ateniesi – allora in quell’attimo tutto è
possibile, come nei sogni, e gli uomini sono corteggiati dalla natura intera come se questa fosse
soltanto una mascherata degli dei che, per scherzo, si presentano agli uomini sotto ogni forma
possibile.
L’uomo stesso ha peraltro un’invincibile tendenza a farsi ingannare ed è come incantato di
felicità quando il rapsodo gli conta per vere favole epiche o l’attore nel dramma impersona il re
in modo ancor più regale di quanto lo mostri la realtà. L’intelletto, questo maestro di finzione, è
libero e sollevato dal suo abituale servizio da schiavo fin tanto che può ingannare senza
nuocere, e allora celebra i suoi Saturnali: mai esso è più rigoglioso, ricco, fiero, agile e ardito.
Con gusto creativo rimescola le metafore e sposta le pietre di confine dell’astrazione,
designando ad esempio il fiume come la mobile strada che porta l’uomo là dove egli altrimenti
giunge camminando. Ormai ha allontanato da sé il segno della servitù: un tempo preoccupato
con tetra sollecitudine di mostrare la via e gli attrezzi a un povero individuo che ha voglia di
vivere, un tempo disposto alla rapina e al furto come lo è un servo per il suo padrone, è ora
invece divenuto padrone egli stesso e può cancellare dal suo volto l’espressione della miseria.
Tutto quel che fa oggi porta in sé il segno della finzione, mentre il suo agire precedente portava
in sé quello della distorsione. Ora copia la vita umana, ma la prende per una cosa buona e
sembra davvero contentarsi di essa. Quell’enorme impalcatura e travatura di concetti,
aggrappandosi alla quale l’uomo indigente riesce a mettersi in salvo nella vita, per l’intelletto
divenuto libero è soltanto un’intelaiatura e un giocattolo per le proprie audaci acrobazie: e se la
manda in pezzi, la butta all’aria e la ricompone ironicamente, accoppiando le cose più estranee
e separando quelle più affini, mostra così di non avere più bisogno di quegli espedienti della
necessità e di essere guidato non più da concetti, bensì da intuizioni. Non c’è una strada
regolare che conduca da queste intuizioni alla terra spettrale degli schemi, delle astrazioni: la
parola non è fatta per esse, l’uomo ammutolisce quando le vede oppure parla unicamente con
metafore proibite e inauditi accostamenti di concetti, per rispondere per lo meno alla potente
intuizione presente in modo creativo, attraverso la distruzione e la derisione delle vecchie
barriere concettuali.
Ci sono epoche nelle quali l’uomo razionale e quello intuitivo stanno l’uno accanto all’altro, il
primo angosciato dall’intuizione, il secondo sprezzante dell’astrazione. Quest’ultimo è tanto
irrazionale quanto il primo è antiartistico. Entrambi desiderano ardentemente di dominare sulla
vita: l’uno sa affrontare le necessità fondamentali con previdenza, accortezza e regolarità;
l’altro, invece, non vede neppure quelle necessità e, come un «eroe supremamente gioioso»,
prende per reale soltanto la vita trasfigurata dalla finzione in parvenza e bellezza. Se l’uomo
intuitivo riesce a usare le sue armi più potentemente e vittoriosamente del suo avversario, un po’
come è accaduto nell’antica Grecia, in questo caso favorevole può allora formarsi una cultura e
fondarsi il dominio dell’arte sulla vita. Quella finzione, quel rinnegamento dell’indigenza,
quello splendore delle intuizioni metaforiche e, in generale, quell’immediatezza dell’inganno
accompagnano tutte le manifestazioni di una vita siffatta. Né la casa, né l’andatura, né il vestito e
neppure l’orcio di terracotta rivelano che fu la necessità a inventarli; sembra quasi che in tutte