Page 16 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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CAPITOLO I
In un qualche remoto angolo dell’universo, che scintillante si effonde in innumerevoli sistemi
solari, c’era una volta un astro sul quale bestie intelligenti inventarono la conoscenza. Fu
l’attimo più superbo e menzognero della «storia del mondo», ma fu soltanto un attimo. Dopo
pochi respiri della natura l’astro si raggelò e le bestie intelligenti dovettero morire. Qualcuno
potrebbe inventarsi una fiaba del genere ma non sarebbe comunque sufficiente a illustrare in
quale modo misero, fosco e fuggevole, e per di più vano ed arbitrario, l’intelletto umano faccia
la sua comparsa all’interno della natura. Per delle eternità esso non esistette; quando di nuovo
non ci sarà più, nulla sarà accaduto. Per quell’intelletto non v’è infatti alcuna ulteriore missione
che conduca oltre la vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce
può prenderlo in modo tanto drammatico, quasi che in esso girassero i cardini del mondo. Ma se
potessimo comunicare con la zanzara, sapremmo che anch’essa nuota nell’aria con lo stesso
pathos e si sente il volatile centro di questo mondo. Nulla è tanto piccolo e riprovevole in
natura da non gonfiarsi subito come un otre con anche soltanto un piccolo alito di quella forza
del conoscere. E come chiunque porti un peso vuole avere degli ammiratori, così l’uomo più
orgoglioso, il filosofo, crede di vedere da ogni parte gli occhi del mondo puntati come un
telescopio sulle sue azioni e i suoi pensieri.
È curioso che tutto questo sia opera dell’intelletto, il quale viene concesso, ma unicamente
come ausilio, agli essere più sfortunati, delicati e transeunti per trattenerli un attimo
nell’esistenza; altrimenti, senza quella dotazione, essi avrebbero tutti i motivi per fuggire dalla
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vita tanto velocemente quanto il figlio di Lessing . Quella superbia connessa al conoscere e al
sentire, che posa una nebbia abbacinante sugli occhi e i sensi degli uomini, li inganna dunque sul
valore dell’esistenza, portando in sé il più lusinghiero giudizio di valore sul conoscere stesso. Il
suo effetto più generale è l’illusione – ma anche gli effetti più particolari portano in sé qualcosa
del medesimo carattere.
L’intelletto, quale mezzo di conservazione dell’individuo, dispiega le sue forze principali nella
finzione. Questo è infatti il mezzo attraverso cui si conservano gli individui più deboli, meno
robusti, in quanto non è loro concesso di lottare per l’esistenza con le corna o le zanne taglienti
degli animali da preda. Quest’arte della finzione raggiunge il suo culmine nell’uomo: qui
l’illusione, l’adulazione, la menzogna e l’inganno, il parlare dietro le spalle, il rappresentare, il
vivere in uno splendore preso a prestito, il mascherarsi, la convenzione che vela, la recita
davanti agli altri e a se stessi, in breve il continuo svolazzare intorno all’unica fiamma della