Page 11 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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che per ora, tuttavia, si limita ad essere una “intuizione del tutto” – un porsi da quel punto di
     vista che osserva tutti gli altri – che con la visione apollineo-dionisiaca dei Greci ha in comune

     soltanto “una mite stanchezza crepuscolare”.
       Fino a questo punto, dunque, il pensiero di Nietzsche si muove sui seguenti piani: critica del
     rapporto attuale dell’uomo con il mondo; ricerca di un rapporto autentico che riesca a fondere lo
     spirito apollineo e lo spirito dionisiaco; abbandono dell’illusione che Wagner sia l’incarnazione

     del rapporto autentico con il mondo, e in definitiva dell’idea che tale rapporto possa avere una
     risoluzione estetica.
       Ma,  per  giungere  alle  vette  del  Così  parlò  Zarathustra,  tutto  ciò  non  basta  proprio.  È

     necessario dimostrare che tutte le possibili soluzioni fornite al problema del rapporto con il
     mondo dell’uomo sono illusorie e mendaci. È l’obiettivo che Nietzsche si prefigge in Umano,

     troppo umano, in Aurora e ne La gaia scienza.
       È pressoché impossibile trarre da queste opere un disegno filosofico sistematico: pare invece
     legittimo identificare delle idee-guida.

       Da Socrate in poi s’è prodotto “qualcosa” per cui l’uomo non è più stato capace di sentirsi en
     ami, in rapporti genuini e profondi con la Terra: la Terra era imprevedibile e quindi insicura.
     L’uomo  ha  così  preferito  farla  diventare  sicura  e  prevedibile:  dire  alla  Terra  come  “doveva
     essere”. La “verità”, ad avviso di Nietzsche, è qualcosa di imposto alle cose, è un “volere che

     le cose siano in un certo modo”. Quando però l’esistenza si fa meno pericolosa – all’epoca di
     Nietzsche, per l’appunto – ecco allora nascere la possibilità di tornare a guardar le cose come
     sono e di liberare la Terra, e l’uomo, dalle catene della “verità”; nasce così la possibilità di

     ridare spazio al “piacere dell’insicurezza”.
       Tale  “piacere  dell’insicurezza”  non  è  un  atteggiamento  per  tutti  –  è  impossibile  che  “tutti”
     trovino piacere in ciò da cui le catene li difendono – e può essere indicato a “tutti” solo da un
     uomo nuovo – l’Übermensch, una sorta di “super-uomo” – che già viva “il piacere insicuro del
     rapporto con il mondo”. Quest’uomo può e deve mostrare agli altri che i valori in cui credono

     sono del tutto sterili, vacui, nulli: sono solo stati utili alla sopravvivenza, sono una semplice,
     fuorviante sublimazione – se proprio si vuole dare una spiegazione “scientifica” a tutto ciò –
     dell’“umano, troppo umano” istinto di conservazione.

       In sintesi: non esistono verità eterne, in quanto tutto nel mondo diviene; non esiste una morale,
     giacché la morale non può essere che l’insieme delle regole che il gruppo sociale impone ai più
     forti; la scienza stessa sa perfettamente di avere solo un valore ipotetico e merita semmai, da
     parte dell’uomo, gratitudine e ammirazione come manifestazione di creatività; falsa l’idea di una

     causa  prima  –  e  falsa  quindi  l’idea  di  Dio,  del  quale  Nietzsche  denuncia  (pur  molto
     problematicamente)  il  tramonto  –,  ma  falsa  anche  l’idea  di  un  mondo  autentico  che  si
     contrapponga a uno inautentico, di un soggetto conoscente che si contrapponga a un mondo da

     conoscere  costituito  da  fatti  indiscutibili,  l’idea  di  libertà  che  si  contrapponga  a  quella  di
     necessità. Lo stesso dire di Nietzsche, dunque, si annulla.
       Non  si  tratta  però  di  una  contraddizione.  Il  terreno  per  Così  parlò  Zarathustra  è  oramai
     dissodato; finora – può dire: “Così io voglio! Così io vorrò!”.
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