Page 10 - Nietzsche - Su verità e menzogna
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che  è  quello  nel  quale,  grazie  allo  sviluppo  della  scienza,  si  sta  cercando  di  costruire  “il
     paradiso in terra”. Nulla di segreto dev’esserci nell’universo: meno segreti ci sono e più “il
     paradiso in terra” è possibile.

       Questa Weltanschauung, secondo Nietzsche, si radica nel nostro passato, nel modo stesso in
     cui  ci  è  stata  tramandata  la  civiltà  greca,  modo  che  tuttavia  è  falso  ed  epidermico,  perché
     continua a voler vedere nella Grecia antica solo il messaggio dell’armonia, della bellezza e

     della  misura,  tramandatoci  invece  dalla  patristica  cristiana  e  che,  a  suo  parere,  è  riferibile
     soltanto all’Atene del V secolo.
       In realtà, accanto a questo modo d’essere – anzi, proprio in forza di questo, che Nietzsche
     chiama  “spirito  apollineo”  –  ne  è  identificabile  un  altro  –  lo  “spirito  dionisiaco”  –  cupo  e

     pessimista. Lo spirito tardo-greco è spiegabile, secondo Nietzsche, nei termini di questi due
     elementi,  oramai  contrapposti,  che  tuttavia  nella  Grecia  arcaica,  e  fino  all’età  di  Eschilo  e
     Sofocle,  contrapposti  non  erano:  nella  Grecia  arcaica,  infatti,  l’uomo  consentiva  il  ribollire
     della  vita  –  si  abbandonava  allo  spirito  dionisiaco  –  e  la  contemplava  con  occhio  estatico.

     L’uomo moderno non è figlio della Grecia arcaica, bensì di quella del V secolo, della Grecia di
     Socrate.  Se  vuole  uscire  dal  falso  ottimismo  razionalistico  in  cui  vive  deve  recuperare  le
     proprie radici, deve tornare alla Grecia dei grandi tragici, di Eschilo e di Sofocle, quando il
     dionisiaco e l’apollineo non erano in antitesi.

       Nietzsche all’epoca de La nascita della tragedia è, tutto sommato, ottimista, perché crede che
     le  condizioni  di  questo  recupero  di  identità  autentica  da  parte  dell’uomo  già  ci  siano:  le
     identifica infatti nell’arte di Wagner. Una tesi, questa, che Nietzsche riprenderà e discuterà nello

     scritto  Su  verità  e  menzogna  in  senso  extramorale  (1872),  nel  quale  prende  consistenza  il
     dubbio che da Wagner non ci si possa aspettare poi troppo.
       D’altronde, prima del definitivo distacco dal musicista, la meditazione di Nietzsche passa per

     le Considerazioni inattuali, ove mette meglio a fuoco quello che, a suo modo d’intendere, è il
     compito effettivo del filosofo, che ora incomincia non per caso a sostituirsi all’artista. Questi
     non  deve  allinearsi  con  l’attualità,  danzare  sul  palcoscenico  della  cultura  per  soddisfare  un

     pubblico superficiale e frivolo, desideroso di ingozzarsi di nozioni e di sensazioni, ma non di
     modificarsi:
       “[L’uomo moderno] […] è diventato uno spettatore gaudente e peregrinante [...]. Ancora non è

     finita la guerra, e già essa è convertita in carta stampata in 100.000 copie, già viene presentata
     come nuovissimo stimolante al palato estenuato dei bramosi di storia”. Questo pubblico – è il
     tema della seconda delle “inattuali”, Sull’utilità e il danno della storia per la vita  – non è
     artefice di storia, non è quindi in condizione di modificarsi: è un semplice spettatore, è il frutto

     maturo dell’illusione socratica – in cui placido si culla – che tutto sia traducibile in un ordine
     oggettivo e prevedibile.
       Qual  è  allora  la  cultura  capace  di  agire  sul  tempo,  di  scuotere  l’apatia  dell’uomo  agendo

     “nella  e  contro  la  storia”?  Secondo  il  Nietzsche  di  Schopenhauer  come  educatore,  questa
     cultura è la filosofia stessa. Non più dunque nella musica di Wagner è possibile riconoscere il
     risorgere  dell’autentico  spirito  greco,  bensì  in  quell’oltrepassamento  di  tutti  i  punti  di  vista
     particolari – storico, politico, scientifico, etico, religioso ecc. – nel quale consiste la filosofia,
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