Page 217 - Nietzsche - L'apolide dell'esistenza
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Quando, per qualche giorno, fu malata, lui le passava
 al fratello il litigio della sera prima, la scenata di Jena e
 ciò che Lou aveva detto di lui. Nietzsche la ascoltò con  delle lettere da sotto il battente e le parlava al di là della
 visibile sofferenza e quando vide Lou le chiese conto di  porta.  Scrive  Lou:  «Nella  trattoria  dove  si  mangia...
 quei discorsi. Lou, che ne aveva piene le tasche, fece per  quando arriviamo, io col mio berretto e Nietzsche senza
 alzare i tacchi e andarsene da Tautenburg. Ma Nietzsche  Elisabeth, ci considerano come due che... appartengono
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 si scusò subito e tutto rientrò nella normalità.  l’uno all’altro» .
 A parte questo primo giorno, le tre settimane di Tau-  Lou, dal punto di vista intellettuale, si sentiva molto
 tenburg furono belle per entrambi. Lou non aveva alcun  affine  a  Nietzsche.  Però  c’erano  delle  cose  che  non  la
 interesse  per  l’uomo,  ma  per  il  suo  cervello  ne  aveva  convincevano,  notava  che  Nietzsche  non  era  del  tutto
 invece  moltissimo.  Era  una  sanguisuga  intellettuale  e  sincero, con gli altri e con se stesso. Scrive: «Una luce
 aveva  capito  che  lì  c’era  molto  sangue  da  cavare.  Per  commovente  poteva  comparire  e  poi  sparire  nei  suoi
 questo aveva un intuito e un talento infallibili. Si sareb-  occhi,  ma  se  era  di  umor  tetro  allora  era  la  solitudine
 be appiccicata a Rilke quando Rilke non era nessuno e  cupa,  quasi  minacciosa,  che  parlava  da  quegli  occhi
 a tante belle intelligenze che non erano ancora famose  come da profondità inquietanti. Nietzsche nasconde in
 ma lo sarebbero diventate.  se stesso, come una vecchia rocca, alcune oscure segre-
 I  due  facevano  discussioni  interminabili.  «Ci  stiamo  te,  sotterranei  nascosti  che  non  risultano  a  una  cono-
 letteralmente  uccidendo  a  furia  di  conversare»  scrive  scenza  superficiale,  ma  che  pure  possono  contenere  la
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 Lou, «e stranamente lui riesce ora d’improvviso a chiac-  sua vera essenza» . Ma se c’era qualcosa in Nietzsche
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 chierare fino a dieci ore al giorno» . Nietzsche le spif-  che attraeva la Salomé non solo dal punto di vista ce-
 ferò anche il pensiero dell’“eterno ritorno” che nelle sue  rebrale  era  proprio  questa  parte  occulta,  misteriosa,  la
 intenzioni, a parte l’accenno nella Gaia scienza, buttato  sua segreta violenza eternamente repressa e tenuta sotto
 lì quasi per caso, doveva rimanere segretissimo, almeno  controllo. Se in qualche momento fosse venuta allo sco-
 per  dieci  anni.  Racconta  la  Salomé:  «Non  potrò  mai  perto  e  Nietzsche  l’avesse  smessa  di  “fare  il  bravo”,
 dimenticare  le  ore  in  cui  me  lo  confidò  per  la  prima  come faceva con tutti, con la madre, con la sorella, con
 volta come un segreto, come una cosa di fronte alla cui  gli amici e soprattutto e peggio ancora, con le donne, le
 dimostrazione e conferma egli provava un orrore indici-  cose avrebbero potuto andare anche diversamente con
 bile; ne parlava soltanto con voce sommessa e con tutti  Lou. Ma allora Nietzsche non sarebbe stato Nietzsche.
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 i segni del più profondo sgomento» .  Che in Nietzsche il cervello dominasse tutto il resto
 Ma non c’erano solo questi discorsi seri, i due erano  Lou lo aveva capito subito: «Ha il cuore nel cervello»
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 anche allegri, insieme ridevano molto, bastava che non ci  scrive .  In  questo  erano  simili.  Lo  definisce  anche,
 fosse Elisabeth fra i piedi. Spesso la sera Nietzsche anda-  usando  proprio  il  linguaggio  nicciano,  «un  egoista  in
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 va da lei, in camera sua, Lou metteva sulla lampada un  grande stile» . E anche questo li accomunava, solo che
 panno  rosso  preso  dai  suoi  vestiti,  e  lì  continuavano  a  Lou, col suo grande carattere, di questo egotismo face-
 parlare,  progettavano  dei  lavori  in  comune  e  Lou  era  va  una  forza  che  scaricava  sugli  altri,  dominandoli,
 molto contenta perché Malwida l’aveva ammonita a dare  mentre  Nietzsche,  che  mancava  quasi  completamente
 ai suoi studi una certa concretezza, a porsi un  compito  di nerbo, lo introiettava e si faceva sottomettere.
 «riconosciuto e ben definito» e adesso lei l’aveva.  Una sera, in camera di lei, Nietzsche le prese la mano,




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