Page 58 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
P. 58
autolesionista, par excellence dell'uomo, è inventato per rendere scienza, cultura, ogni
innalzamento e nobiltà dell'uomo, impossibili; il prete domina grazie all'invenzione del
peccato. -
50.
- A questo punto non mi sottraggo ad una psicologia della «fede», dei «credenti», a
beneficio, come è giusto, proprio dei «credenti». Se ancora oggi non mancano coloro che
ignorano fino a che punto l'esser «credenti» sia indecente - ovvero un sintomo di décadence,
di volontà di vivere spezzata -, lo potranno sapere già domani. La mia voce raggiunge anche i
duri d'orecchio. - Pare, a meno che io non abbia sentito male, che tra cristiani esista una sorta
di criterio di verità che chiamano «prova di forza». «La fede rende beati: dunque essa è
vera.» - Si potrebbe qui anzitutto obbiettare che proprio la beatitudine non è dimostrata, ma
unicamente promessa: la beatitudine vincolata alla condizione del «credere» - si deve
diventare beati, poiché si ha fede... Ma che avvenga di fatto ciò che il prete promette al
credente per un «al di là» inaccessibile ad ogni controllo, in che modo si è dimostrato questo?
- La pretesa «prova di forza» dunque è soltanto, in fondo, nuovamente la credenza che non
manchi l'effetto che dalla fede ci si ripromette. In una formula: «Io credo che la fede renda
beati - quindi essa è vera». - Ma in tal modo siamo già alla fine. Questo «quindi» sarebbe
l'absurdum stesso preso a criterio di verità. - Ma supponiamo, con una qualche
condiscendenza, che la beatitudine mediante la fede sia dimostrata (non solo desiderata, non
solo promessa dalla alquanto sospetta bocca d'un prete): la beatitudine, - o detto più
tecnicamente, il diletto - potrebbe mai essere una dimostrazione di verità? Lo è tanto poco,
che quasi è presente la prova contraria, o comunque il massimo del sospetto contro la
«verità», laddove sensazioni di diletto entrano nel discorso a proposito della questione «che
cosa è vero». La prova del «diletto» è una prova per «diletto» - niente di più; da dove, per
tutto al mondo, sarebbe assodato che proprio i giudizi veri fanno più piacere che i falsi, e che,
in conformità ad una prestabilita armonia, portino necessariamente con sé sentimenti
piacevoli? - L'esperienza di ogni spirito severo e profondo per natura insegna l'opposto.
Abbiamo dovuto conquistarci la verità passo su passo; per essa abbiamo dovuto rinunciare a
quasi tutto quello a cui di solito è attaccato il cuore, il nostro amore per la vita, la nostra
fiducia in essa. Ci vuole grandezza d'animo per questo: il servizio della verità è il più duro
dei servizi. - Che significa allora essere retti nelle cose dello spirito? Che uno è severo con il
proprio cuore, che disprezza i «bei sentimenti», che d'ogni sì e d'ogni no si fa un caso di
coscienza! - La fede rende beati: quindi mente...
51.
Che in certi casi la fede renda beati, che la beatitudine non faccia ancora di un'idea fissa
un'idea vera, che la fede non muova le montagne, ma anzi collochi montagne dove non ce ne
sono: un rapido giro per un manicomio illumina a sufficienza in proposito. Non un prete, certo,
ché quello, per istinto, nega che la malattia sia malattia, il manicomio manicomio. Al
cristianesimo la malattia è necessaria, pressappoco come alla grecità è necessaria
un'esuberanza di salute - rendere malati è la vera intenzione recondita dell'intero sistema di
procedure di salvezza della Chiesa. E la Chiesa stessa - non è forse il manicomio cattolico