Page 212 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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Crepuscolo degli idoli


      Come si filosofa col martello





      1.
         Questo scritto di neppure centocinquanta pagine, sereno e fatale nel tono, un demone che
      ride -, l'opera di così pochi giorni che esito a dire quanti, è l'eccezione tra i libri: non vi è
      nulla di più ricco di sostanza, di più indipendente, di più eversivo, - di più cattivo. Se ci si
      vuol fare rapidamente una idea di come, prima di me, tutto fosse capovolto, si inizi con questo

      scritto. Ciò che nel titolo è indicato come idoli è molto semplicemente ciò che sino ad ora è
      stato chiamato verità. Crepuscolo degli idoli - detto a chiare lettere: le antiche verità stanno
      per finire...

      2.
         Non c'è realtà, non c'è «idealità», che in questo scritto non venga toccata (- toccata: che
      prudente  eufemismo!...).  Non  solamente  gli  idoli  eterni,  anche  quelli  giovanissimi  e  di
      conseguenza i più senili. Le «idee moderne», ad esempio. Un forte vento soffia tra gli alberi e

      dappertutto cadono i frutti - le verità. V'è qui lo spreco di un autunno troppo ricco: si inciampa
      nelle verità, le si calpestano a morte, - ve ne sono troppe... Ma ciò che si prende in mano non
      ha  in  sé  più  nulla  di  ambiguo,  sono  decisioni.  Io  per  primo  ho  in  mano  la  misura  per  le
      «verità», io per primo posso decidere. Come se fosse cresciuta in me una seconda coscienza,
      come se in me «la volontà» avesse acceso una luce sulla strada in pendio su cui sino ad ora

      scendeva...  La  strada  in  pendio  -  era  chiamata  la  strada  verso  la  «verità»...  è  finito  ogni
      «oscuro impulso», l'uomo buono era proprio quello meno cosciente della via giusta, la strada
      in salita: solo dopo di me vi sono di nuovo speranze, compiti, strade della civiltà da indicare
      - io sono il loro lieto messaggero... Proprio con ciò io sono anche un destino. -

      3.
         Immediatamente dopo la conclusione dell'opera appena citata e senza perdere neppure un

      giorno, mi accinsi all'immane compito della trasvalutazione,  con  un  sovrano  sentimento  di
      orgoglio che non è paragonabile a nulla, certo, in ogni istante, della immortalità e incidendo
      segno  dopo  segno  con  la  sicurezza  di  un  destino  su  tavole  di  bronzo.  La  prefazione  fu
      composta  il  3  settembre  1888:  quando,  il  mattino  che  la  scrissi,  uscii  all'aperto,  trovai  la
      giornata più bella che l'Alta Engadina mi abbia mai mostrato - trasparente, ardente nei colori,
      racchiudeva in sé tutti i contrasti, tutti i gradi intermedi tra il ghiaccio e il sud. - Trattenuto

      dalle alluvioni, lasciai Sils-Maria solo il 20 settembre, da molto tempo, ormai, ultimo ospite
      di questo luogo meraviglioso al quale la mia gratitudine vuol far dono di un nome immortale.
      Dopo  un  viaggio  non  privo  d'incidenti,  rischiando  perfino  della  vita,  nell'inondazione  di
      Como, che raggiunsi solo a notte fonda, il pomeriggio del 21 giunsi a Torino, il mio soggiorno
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