Page 196 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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«wagneriano» si era impossessato di Wagner! - L'arte tedesca! il maestro tedesco! la birra
tedesca!... Noi, che sappiamo fin troppo bene a quali artisti raffinati, a quale cosmopolitismo
del gusto parla l'arte di Wagner, eravamo fuori di noi nel ritrovare Wagner agghindato di
«virtù» tedesche. Io penso di conoscere il wagneriano, ne ho «vissute» tre generazioni, dal
povero Brendel, che confondeva Wagner con Hegel, fino agli «idealisti» dei Bayreuther
Blätter che confondono Wagner con se stessi, - ho sentito ogni genere di confessioni di «anime
belle» su Wagner. Un regno, per una sola parola sensata! - In verità un gruppo terrificante!
Nohl, Pohl, e cavoli vari, con grazia, in infinitum! Non manca nessuno scherzo di natura,
neppure l'antisemita. - Il povero Wagner! Dov'era andato a finire! Fosse almeno finito tra i
porci! Ma tra i Tedeschi!... Infine, ad edificazione dei posteri si dovrebbe impagliare un vero
bayreuthiano, o meglio ancora metterlo sotto spirito, poiché è lo spirito quello che manca, -
con la dicitura: così era lo «spirito» sul quale si è fondato il «Reich»... Ma basta, me ne partii
nel bel mezzo per un paio di settimane, all'improvviso, nonostante una deliziosa parigina
cercasse di consolarmi; mi scusai con Wagner solo con un telegramma fatalistico. In un paese
profondamente nascosto tra i boschi della Selva Boema, a Klingenbrunn, mi trascinavo dietro
come una malattia la mia malinconia e il disprezzo per i Tedeschi - e scrivevo, di tanto in
tanto, sotto il titolo generale «Il vomere», una frase nel mio taccuino, tutte dure annotazioni
psicologiche, che si possono forse ancora ritrovare in Umano, troppo umano.
3.
Ciò che allora si decise in me, non fu una rottura con Wagner - avvertivo una generale
aberrazione del mio istinto, della quale l'errore singolo, si chiamasse Wagner o cattedra di
Basilea, era solo un segno. Mi colse un'impazienza verso me stesso; vidi che ero ormai al
tempo limite per tornare a me stesso. Tutt'un tratto mi fu tremendamente chiaro quanto tempo
avessi già sprecato, - con quanta inutilità, con quanto arbitrio tutta la mia esistenza di filologo
si atteggiasse rispetto al mio compito. Mi vergognai di questa falsa modestia... Dieci anni alle
mie spalle, durante i quali l'alimentazione del mio spirito si era letteralmente arrestata,
durante i quali non avevo appreso niente di utilizzabile, durante i quali avevo dimenticato
un'assurda quantità di cose per un ciarpame di polverosa erudizione. Insinuarsi tra antichi
metrici con acribia e occhi malati - a questo ero arrivato! - Con pena mi vidi magrissimo,
affamato: le realtà mancavano proprio nella mia scienza, e le «idealità», chissà a cosa
servivano! - Mi prese una sete quasi bruciante: da allora in poi non mi sono occupato d'altro
che di fisiologia, medicina e scienze naturali, - anche agli studi propriamente storici sono
ritornato solo quando il compito mi obbligò imperiosamente a farlo. Allora indovinai anche,
per la prima volta, il rapporto tra un'attività scelta contro i propri istinti, una cosiddetta
«professione», per la quale non si è affatto chiamati - e quel bisogno di anestetizzare il senso
di vuoto e di fame con un'arte narcotica - per esempio con l'arte wagneriana. Guardandomi
attorno con maggiore attenzione ho scoperto che un gran numero di giovani è nella stessa
necessità: una contronatura ne provoca necessariamente una seconda. In Germania, nel
«Reich», per parlare chiaramente, troppi sono condannati a decidere prima del tempo e poi a
deperire sotto un peso divenuto insopportabile... Costoro hanno bisogno di Wagner come di un
oppiaceo, - essi dimenticano, si liberano per un attimo di se stessi... Cosa dico! per cinque o
sei ore! -