Page 194 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
P. 194
profonda sicurezza istintiva, nel suo talento d'attore, che nei suoi mezzi e nelle sue intenzioni
si limita a trarre le conseguenze. In fondo, in queste pagine, volevo fare tutt'altro che della
psicologia: - qui cercava di esprimersi per la prima volta un problema di educazione senza
pari, un nuovo concetto di autodisciplina, di autodifesa fino alla durezza, una strada verso la
grandezza e i compiti storici. In conclusione io presi per i capelli due tipi famosi, e per nulla
definiti fino ad oggi, come si prende per i capelli una occasione, per esprimere qualcosa, per
possedere maggiormente un paio di formule, di segni, di mezzi linguistici. Da ultimo vi si
accenna anche, con sagacia decisamente inquietante, a pagina 93 della terza Inattuale. In
modo simile Platone si è servito di Socrate come di una semiotica per Platone. - Ora che da
una certa distanza volgo lo sguardo alle circostanze di cui questi scritti sono testimonianza,
non vorrei negare che in fondo essi non parlano che di me. Lo scritto Wagner a Bayreuth è una
visione del mio futuro; per contro, in Schopenhauer come educatore è iscritta la mia storia
più intima, il mio divenire. Prima di tutto il mio voto!... Ciò che sono oggi, dove sono oggi -
ad una altezza nella quale non parlo più con parole, ma con lampi -, oh, quanto ne ero lontano,
allora! - Ma vedevo la terra, - non mi ero ingannato un momento sulla strada, il mare, il
pericolo - e il successo! La grande pace nel promettere, quel felice guardare avanti, in un
futuro che non deve restare soltanto una promessa! - Qui ogni parola è vissuta, profondamente,
intimamente; non mancano i tratti più dolorosi, vi si trovano parole che sono addirittura
insanguinate. Ma un vento di grande libertà soffia su tutto; la ferita stessa non è di ostacolo. -
Come io intendo il filosofo, come un esplosivo terrificante di fronte a cui tutto è in pericolo,
come separo, a una distanza di miglia e miglia, il mio concetto di «filosofo» da un concetto
che racchiude ancora in sé addirittura un Kant, per non parlare dei «ruminanti» accademici e
di altri professori di filosofia: a questo proposito, questo scritto impartisce un insegnamento
inestimabile, anche ammettendo che qui, in fondo, non si tratta di «Schopenhauer come
educatore», ma del suo opposto, di «Nietzsche come educatore». - Considerando che allora il
mio mestiere era quello del dotto, e forse anche che conoscevo il mio mestiere, l'aspro brano
di psicologia del dotto che appare all'improvviso in questo scritto non è senza importanza:
esso esprime il senso della distanza, la profonda sicurezza di ciò che può essere in me
compito, semplice mezzo, intermezzo e lavoro marginale.
La mia abilità è di essere stato molte cose e in molti luoghi, per poter divenire uno, - per
poter raggiungere l'unità. Ho dovuto essere anche un dotto, per un certo tempo. -