Page 190 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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agio  che  in  qualsiasi  altro  luogo.  L'affermazione  del  fluire  e  dell'annientare,  carattere

      decisivo in una filosofia dionisiaca, il «sì» detto all'opposizione e alla guerra, il divenire, con
      il radicale rifiuto dello stesso concetto di «essere» - qui io devo riconoscere ciò che finora è
      stato pensato di più affine a me, sotto tutti gli aspetti. La dottrina dell'«eterno ritorno», cioè
      del movimento circolare, assoluto e ripetuto all'infinito di tutte le cose - questa dottrina di
      Zarathustra potrebbe in fondo essere già stata insegnata anche da Eraclito. Per lo meno ne reca
      tracce la Stoa, che ha ereditato da Eraclito quasi tutte le sue concezioni fondamentali.


      4.
         In questo scritto parla un'immensa speranza. In fondo non ho alcun motivo di rinunciare alla
      speranza  in  un  futuro  dionisiaco  della  musica.  Gettiamo  uno  sguardo  un  secolo  più  avanti,
      poniamo il caso che il mio attentato a due millenni di contronatura e di profanazione dell'uomo
      riesca.  Quel  nuovo  partito  della  vita  che  prende  in  mano  il  massimo  di  tutti  i  compiti,
      l'educazione  e  la  crescita  dell'umanità,  incluso  l'impietoso  annientamento  di  tutto  ciò  che  è

      degenere e parassitario, renderà di nuovo possibile sulla terra quel troppo di vita da cui dovrà
      nascere di nuovo anche lo stato dionisiaco. Io prometto un'epoca tragica: l'arte suprema nel
      dire Sì alla vita, la tragedia, verrà generata di nuovo, quando l'umanità avrà dietro a sé la
      coscienza  delle  guerre  durissime,  ma  assolutamente  necessarie,  senza  soffrirne...  Uno
      psicologo  potrebbe  aggiungere  anche  che  quanto  ho  sentito  negli  anni  della  mia  giovinezza
      nella  musica  di  Wagner  non  ha  nulla  a  che  vedere  con  Wagner;  che  quando  descrivevo  la
      musica dionisiaca, descrivevo quanto io avevo sentito, che tutto dovevo tradurre e trasfigurare

      istintivamente nel nuovo spirito che portavo in me. La prova, forte quanto solo una prova può
      esserlo, ne è il mio scritto Wagner a Bayreuth: in tutti i punti psicologicamente decisivi si
      parla solo di me, - si può mettere senza esitare il mio nome o quello di Zarathustra dove il
      testo porta la parola di Wagner. L'intera immagine dell'artista ditirambico è l'immagine del
      poeta  preesistente  dello  Zarathustra,  disegnata  con  abissale  profondità  e  senza  sfiorare

      neppure per un attimo la realtà wagneriana. Wagner stesso se ne rese conto: non si riconosceva
      in  questo  scritto.  -  Contemporaneamente  il  «pensiero  di  Bayreuth»  si  era  trasformato  in
      qualche cosa che per i conoscitori del mio Zarathustra non sarà un concetto enigmatico: in
      quel grande mezzogiorno dove il fiore degli eletti si consacra al più alto di tutti i compiti -
      chissà? la visione di una festa che devo ancora vivere... Il pathos delle prime pagine è un
      momento della storia universale: lo sguardo di cui si parla alla settima pagina è proprio lo
      sguardo  di  Zarathustra;  Wagner,  Bayreuth,  tutta  la  piccola  meschinità  tedesca  è  una  nuvola
      nella  quale  si  riflette  un'infinita  fata  morgana  dell'avvenire.  Anche  da  un  punto  di  vista

      psicologico tutti i tratti decisivi della mia propria natura sono riportati in quella di Wagner - la
      coesistenza delle forze più luminose e fatali, la volontà di potenza, il coraggio sconsiderato
      nelle cose dello spirito, l'illimitata energia nell'apprendere senza che con ciò venga conculcata
      la volontà di azione. Tutto è preveggente in questo scritto: l'imminente ritorno dello spirito
      greco,  la  necessità  di  un  Anti-Alessandro  che  annodi  nuovamente  il  nodo  gordiano  della

      cultura greca dopo che è stato sciolto... Si dia ascolto all'accento storico-universale con il
      quale a pagina 30 viene introdotto il concetto di «sentimento tragico»: in questo scritto vi sono
      soltanto accenti storico-universali. Questa è la più inusitata «obiettività» che ci possa essere:
      l'assoluta certezza su ciò che io sono si proiettava su una qualche realtà casuale - la verità su
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