Page 189 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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l'unico paragone e riscontro che abbia la storia, - avevo compreso con ciò, per primo, il
meraviglioso fenomeno del dionisiaco. Contemporaneamente, mentre riconoscevo Socrate
come décadent, offrivo una prova assolutamente inequivocabile di quanto poco la sicurezza
del mio senso psicologico rischiasse di essere compromessa da una qualche idiosincrasia
morale: - la morale stessa in quanto sintomo di décadence è una novità, una cosa unica e di
prim'ordine nella storia della conoscenza. A che altezza ero salito d'un tratto, con queste due
scoperte, al di sopra delle miserabili chiacchiere delle teste piatte su ottimismo contra
pessimismo! Per primo io vidi la vera opposizione: - l'istinto in procinto di degenerare, che
si volge contro la vita con uno spirito sotterraneo di vendetta (- il cristianesimo, la filosofia di
Schopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, l'intero idealismo ne sono forme
tipiche) e una formula nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza della affermazione suprema,
un assentire senza riserva, anche al dolore, anche alla colpa, a tutto ciò che vi è di
problematico e di ignoto nell'esistenza... Quest'ultimo Sì, il più gioioso, il più straripante-
esuberante Sì alla vita non è solo la visione più alta, è anche la più profonda, quella
confermata nel modo più rigoroso e sostenuta dalla verità e dalla scienza. Non c'è nulla, di ciò
che è, che si possa togliere, non c'è nulla di trascurabile - i lati dell'esistenza rifiutati dai
cristiani e dagli altri nichilisti occupano un posto di grado infinitamente più alto nella
gerarchia dei valori di ciò che l'istinto di décadence ha potuto approvare, ha potuto trovare
buono. Per comprendere questo ci vuole coraggio e, come sua condizione, una eccedenza di
forza: perché esattamente nei termini in cui il coraggio può spingersi lontano, esattamente
nella misura della propria forza, ci si avvicina alla verità. La conoscenza, il dire di sì alla
realtà, è per il forte una necessità pari a quella che è per il debole, per ispirazione della
propria debolezza, la vigliaccheria e la fuga davanti alla realtà - l'«ideale»... Essi non sono
liberi di accedere alla conoscenza: ai décadents la menzogna è necessaria, essa è una delle
condizioni della loro esistenza. - Chi non solo comprende la parola «dionisiaco», ma si
comprende nella parola «dionisiaco», non ha bisogno di una confutazione di Platone o del
cristianesimo o di Schopenhauer - egli fiuta la decomposizione...
3.
Fino a che punto io avessi scoperto con ciò il concetto di «tragico», la conoscenza
definitiva di ciò che è la psicologia della tragedia, l'ho spiegato ultimamente anche nel
Crepuscolo degli idoli, a pagina 139: «Il dir di sì alla vita anche nei suoi problemi più
estranei e più ardui; la volontà di vita nel sacrificare lietamente i suoi tipi più alti alla propria
inesauribilità - questo ho chiamato dionisiaco, questo ho inteso come ponte verso la
psicologia del poeta tragico. Non per liberarsi dal terrore e dalla compassione, non per
purificarsi da una passione pericolosa con una esplosione violenta - come l'ha inteso a torto
Aristotele: ma per essere noi stessi, al di là di terrore e compassione, l'eterna gioia del
divenire, quella gioia che racchiude in sé anche la gioia dell'annientare...». In questo senso
ho il diritto di ritenere me stesso il primo filosofo tragico - cioè l'estremo opposto e
l'antipodo di un filosofo pessimista. Prima di me non c'è questa trasposizione del dionisiaco in
pathos filosofico: manca la saggezza tragica, - ne ho cercato invano le tracce persino nei
grandi filosofi greci, quelli dei due secoli che hanno preceduto Socrate. Mi rimaneva un
dubbiò per Eraclito, nella cui vicinanza sento generalmente più calore e mi sento più a mio