Page 178 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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sulla superficie tremante.
Gondole, luci, musica -
ebbre si perdevano nel crepuscolo...
La mia anima, un suono di violino,
a sé cantava, toccata da dita invisibili,
segretamente, un canto di gondolieri,
tremando di felicità multicolore
- L'ha udita mai qualcuno?...
8.
In tutto ciò - nella scelta dei cibi, del luogo e del clima, del riposo - domina un istinto di
autoconservazione, che nel modo più netto si esprime come istinto di autodifesa. Non vedere,
non udire, non farsi avvicinare da molte cose - prima astuzia, prima dimostrazione che non vi
è un caso, bensì una necessità. La parola corrente, per questo istinto di autodifesa, è gusto. Il
suo imperativo non ci ordina solo di dire no, dove il sì sarebbe segno di «altruismo», ma
anche di dire no il meno possibile. Separarsi, dividersi da ciò dove il no sarebbe
continuamente necessario. La ragione di ciò sta nel fatto che le spese difensive, anche minime,
diventando regola, abitudine, determinano un impoverimento straordinario e assolutamente
superfluo. Le nostre grandi spese sono le piccole spese che si ripetono. Il difendersi, il non
lasciarsi avvicinare è una spesa - non ci si inganni qui -, una forza sprecata per fini negativi.
Unicamente per la costante necessità di difendersi, si può diventare troppo deboli per potersi
ancora difendere. - Posto che esca dalla mia casa e trovi, invece della tranquilla e
aristocratica Torino, una piccola città tedesca: il mio istinto dovrebbe barricarsi per
respingere tutto ciò che preme su di lui da questo mondo piatto e codardo. E se trovassi una
grande città tedesca, questo vizio divenuto città, dove non cresce nulla, dove ogni cosa, buona
e cattiva, è importata? Non dovrei allora farmi istrice? - Ma avere aculei è uno spreco,
addirittura un doppio lusso, quando sarebbe possibile non avere aculei, sibbene mani aperte...
Un'altra astuzia e autodifesa consiste nel fatto di reagire il più raramente possibile e di
sottrarsi a situazioni e condizioni nelle quali ci si troverebbe costretti a esporre, per così dire,
la propria «libertà», la propria iniziativa e diventare un semplice reagente. Prendo a paragone
il rapporto con i libri. Il dotto, che in fondo si limita a «compulsare» i libri - circa duecento al
giorno per il filologo di capacità media - perde alla fine completamente la capacità di pensare
da solo. Se non compulsa non pensa. Quando pensa, risponde a uno stimolo (- un pensiero
letto) - alla fine non fa che reagire. Il dotto pone tutta la sua energia nel dire sì e no, nella
critica del già pensato, - egli stesso non pensa più... L'istinto d'autodifesa si è rammollito;
diversamente si rivolterebbe contro i libri. Il dotto - un décadent. - L'ho visto con i miei
occhi: nature dotate, ricche e nate per essere libere «ammazzate dalla lettura» già a trent'anni,
ridotti ormai a fiammiferi, che bisogna strofinare perché diano scintille - «pensieri» -. Leggere
un libro di prima mattina, al giungere del giorno, nella piena freschezza, nell'aurora della
propria forza, questo io lo chiamo vizio! -
9.
A questo punto non si può più fare a meno di dare la vera risposta alla domanda come si