Page 171 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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Perché sono così accorto






      1.

         - Perché ne so un po' di più? Perché, in generale, sono così accorto? Non ho mai riflettuto
      su problemi che non fossero tali, - non mi sono mai sprecato. - Ad esempio, non conosco per
      esperienza le vere e proprie difficoltà religiose. Mi è completamente sfuggito in che senso
      dovrei essere «peccatore». - Allo stesso modo mi manca un criterio valido su cosa sia un
      rimorso: da ciò che se ne sente dire un rimorso non mi sembra nulla di notevole... Non vorrei

      piantare in asso un'azione per quel che ne è stato dopo, preferirei lasciare completamente fuori
      da un giudizio di valore l'esito negativo, le conseguenze. In presenza di un esito negativo si
      perde persino troppo facilmente la giusta visione di ciò che si è fatto: un rimorso mi sembra
      una sorta di «malocchio». Tenere tanto più in considerazione qualcosa che è fallito, proprio
      perché  è  fallito  -  questo  piuttosto  appartiene  alla  mia  morale.  -  «Dio»,  «immortalità
      dell'anima»,  «redenzione»,  «al  di  là»,  tutti  concetti  ai  quali,  anche  da  bambino,  non  ho
      dedicato nessuna attenzione, e neppure il mio tempo - forse non sono mai stato abbastanza
      infantile  per  questo?  -  Non  conosco  affatto  l'ateismo  come  risultato,  ancor  meno  come

      avvenimento:  esso  mi  è  congeniale  per  istinto.  Sono  troppo  curioso,  troppo  problematico,
      troppo irriverente, per accontentarmi di una risposta così piattamente grossolana. Dio è una
      risposta piattamente grossolana, un'indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo, persino un
      grossolano divieto nei nostri confronti: non dovete pensare!... In modo ben diverso mi sta a
      cuore un problema dal quale, molto più che da una qualsiasi curiosità da teologi, dipende la

      «salvezza  dell'umanità»:  il  problema  dell'alimentazione.  Per  comodità  lo  si  può  formulare
      così: «come devi nutrirti esattamente, tu, per ottenere il massimo della forza, della virtù  in
      senso rinascimentale, di virtù scevra d'ipocrita moralità?» - Su questo punto le mie esperienze
      sono le peggiori possibili; sono stupito di aver avvertito così tardi questa domanda, di aver
      imparato da queste esperienze così tardi la «ragione». Solo la completa futilità della nostra
      cultura tedesca - il suo «idealismo» - mi spiega, in una certa misura, perché proprio a questo
      riguardo  io  fossi  di  un'arretratezza  tale  da  confinare  con  la  santità.  Questa  «cultura»,  che

      insegna fin dall'inizio a perdere di vista la realtà per mettersi alla caccia di cosiddette finalità
      «ideali», assolutamente problematiche, per esempio della «cultura classica»: - come se non
      fosse  condannata  all'insuccesso,  fin  dall'inizio,  l'unificazione  in  un  unico  concetto  di
      «classico» e «tedesco»! Non solo, tutto da ridere - si pensi, per esempio, a un cittadino di
      Lipsia  dotato  «di  cultura  classica»!  -  Invero,  fino  agli  anni  della  mia  maturità  ho  sempre
      mangiato       male,     o,     per     esprimerci       in    termini      morali,      «impersonalmente»,

      «disinteressatamente»,  «altruisticamente»,  alla  salute  dei  cuochi  e  degli  altri  confratelli
      cristiani. Grazie alla cucina di Lipsia negai, ad esempio, molto seriamente, nel periodo dei
      miei  primi  studi  su  Schopenhauer  (1865),  la  mia  «volontà  di  vivere».  Rovinarsi  anche  lo
      stomaco  ai  fini  di  un'alimentazione  insufficiente,  -  la  suddetta  cucina  sembrava  risolvere
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