Page 167 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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ancor più benevole, più oneste del silenzio. A quelli che tacciono manca quasi sempre finezza
e gentilezza di cuore; tacere è un'obiezione, sopportare produce necessariamente un brutto
carattere, - rovina addirittura lo stomaco. Tutti i silenziosi sono dispeptici. - Si veda come io
non vorrei saper sottovalutata la grossolanità, essa è di gran lunga la forma più umana della
contraddizione e, tra le cattive abitudini moderne, una delle nostre prime virtù. - Se si è
abbastanza ricchi per questo, è addirittura una fortuna avere torto. Un dio che venisse sulla
terra non potrebbe fare null'altro che torti, - prendere su di sé la colpa, e non la pena, questo
solo sarebbe divino.
6.
La libertà del ressentiment, la chiara visione del ressentiment - chissà, infine, quanto anche
per questo io debba esser grato alla mia malattia! Il problema non è proprio semplice: bisogna
averlo vissuto attraverso la forza e attraverso la debolezza. Se, in generale, bisogna affermare
un qualche cosa contro lo stato di malattia, di debolezza, è appunto il fatto che in questo stato
il vero istinto di guarigione, che è l'istinto combattivo e difensivo dell'uomo, si infiacchisce.
Non ci si sa liberare da nulla, non si sa venire a capo di nulla, non si sa respingere nulla, -
tutto ferisce. Uomini e cose si avvicinano con invadenza, le esperienze colpiscono troppo a
fondo, il ricordo è una ferita in suppurazione. Il fatto stesso di essere malati è una sorta di
ressentiment. - Contro ciò, il malato ha un unico grande rimedio - io lo chiamo il fatalismo
russo, quel fatalismo senza ribellione, per il quale un soldato russo a cui la guerra diventa
troppo dura, si abbandona infine nella neve. Soprattutto non prendere più niente, non prendere
più niente su di sé, non prendere più niente in sé, - soprattutto non reagire più... La grande
ragione di questo fatalismo, che non è sempre solo il coraggio di morire, come elemento di
conservazione della vita nelle circostanze più minacciose per la vita stessa, sta in un
abbassamento del metabolismo, nel suo rallentamento, in una sorta di volontà di letargo. Un
paio di passi ancora in questa logica e si ha il fachiro, che dorme per settimane in una tomba...
Poiché ci si consumerebbe troppo rapidamente, se d'altra parte si reagisse, non si reagisce
più: questa è la logica. E con nulla si brucia più in fretta che con le passioni del ressentiment.
La rabbia, la vulnerabilità morbosa, l'incapacità di vendicarsi, il desiderio, la sete di
vendetta, l'intossicare in ogni senso - questo è certamente, per chi è stremato, il modo più
negativo di reagire: comporta un rapido dispendio di forza nervosa, un morboso aumento di
secrezioni nocive, ad esempio della bile nello stomaco. Il ressentiment è per il malato la cosa
proibita in sé - il suo male: purtroppo anche la sua tendenza più naturale. - Lo comprese quel
profondo fisiologo che fu Buddha. La sua «religione», che si potrebbe definire meglio come
igiene per non mescolarla a cose tanto miserevoli come il cristianesimo, faceva dipendere la
sua efficacia dalla vittoria sul ressentiment: renderne libero l'animo - primo passo verso la
guarigione. «Non per mezzo dell'inimicizia si pone termine all'inimicizia, con l'amicizia si
porrà fine all'inimicizia»: queste parole stanno all'inizio della dottrina di Buddha - così non
parla la morale, così parla la fisiologia. - Il ressentiment, nato dalla debolezza, non è dannoso
a nessuno più che al debole stesso, - nel caso opposto, dove la premessa è una natura ricca, un
sentimento superfluo, un sentimento di cui restare padroni è quasi la prova della ricchezza.
Chi conosce la serietà con la quale la mia filosofia ha intrapreso la lotta contro i sentimenti di
vendetta e il risentimento, fino a giungere alla dottrina del «libero arbitrio» - la lotta contro il