Page 163 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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Perché sono così saggio






      1.

         La felicità della mia esistenza, la sua unicità forse, sta nella sua fatalità: per parlare per
      enigmi, in quanto mio padre sono già morto, in quanto mia madre vivo ancora e invecchio.
      Questa doppia origine, per così dire dal più alto come dal più basso germoglio sulla scala
      della vita, décadent e insieme cominciamelo - se c'è qualcosa che spieghi quella neutralità,
      quella libertà da ogni fazione di fronte al problema della vita nel suo complesso, che forse mi

      contraddistingue, è proprio questo. Io ho, per i segni dell'ascesa e del declino, più fiuto di
      quanto un uomo abbia mai avuto, io sono, in questo, il maestro par excellence, - conosco l'una
      e l'altro, sono l'una e l'altro. - Mio padre morì a trentasei anni: era tenero, amabile e morboso,
      come un essere destinato solo a passare oltre - piuttosto un ricordo benevolo della vita, che la
      vita  stessa.  Nello  stesso  anno  in  cui  la  sua  vita  declinò,  declinò  anche  la  mia:  nel
      trentaseiesimo anno la mia vitalità toccò il punto più basso, - vivevo ancora, tuttavia senza
      vedere a tre passi davanti a me. Allora - era il 1879 - lasciai la cattedra di Basilea, passai
      l'estate a St. Moritz, come un'ombra, e l'inverno seguente, il più privo di sole della mia vita, a

      Naumburg, ero un'ombra. Fu il mio minimum: «Il viandante e la sua ombra», nacque in quel
      periodo. Senza alcun dubbio allora mi intendevo di ombre... L'inverno seguente, il mio primo
      inverno  genovese,  quell'addolcimento  e  quella  spiritualizzazione  che  un  estremo
      impoverimento del sangue e dei muscoli comporta quasi inevitabilmente, portò alla nascita di
      Aurora. La limpidezza perfetta e la serenità, l'esuberanza quasi dello spirito, che quest'opera

      riflette, si accordano in me non solo con la più profonda debolezza fisiologica, ma addirittura
      con un eccesso di sensazioni dolorose. Nel martirio che mi causava un'ininterrotta emicrania
      di  tre  giorni  consecutivi,  accompagnata  da  un  penoso  vomito  di  muco,  -  possedevo  una
      chiarezza dialettica par excellence ed esaminavo con grande sangue freddo cose per le quali,
      in  migliori  condizioni  di  salute,  non  sono  uno  scalatore  sufficientemente  ardito,
      sufficientemente raffinato, sufficientemente freddo. I miei lettori sanno forse fino a qual punto
      io consideri la dialettica come un sintomo di décadence, per esempio nel caso più famoso:

      quello di Socrate. - Tutti i turbamenti morbosi dell'intelletto, anche quel mezzo stordimento
      che  segue  alla  febbre,  mi  sono  rimasti  fino  ad  oggi  completamente  estranei:  ho  dovuto
      informarmi sui libri della loro natura e della loro frequenza. Il mio sangue scorre lentamente.
      Nessuno ha mai potuto accertare la febbre su di me. Un medico, che mi curò a lungo come
      malato di nervi, disse alla fine: «no! i suoi nervi non hanno niente, sono io che sono nervoso».
      In  definitiva  nessuna  degenerazione  locale  accertabile;  nessun  mal  di  stomaco  di  natura

      organica, per quanto sappia, come conseguenza di un esaurimento generale, di una fortissima
      debolezza  del  sistema  gastrico.  Anche  il  dolore  agli  occhi,  che  si  avvicina  a  volte,
      pericolosamente,  alla  cecità,  è  solo  una  conseguenza,  non  una  causa:  di  modo  che  ogni
      accrescimento della forza vitale ha accresciuto la forza visiva. Guarigione vuol dire, per me,
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