Page 138 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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Quel che debbo agli antichi






      1.

         Per finire, una parola su quel mondo per il quale ho cercato accessi, per il quale ho forse
      trovato un nuovo accesso - il mondo antico. Il mio gusto, che forse è l'opposto di un gusto
      tollerante, anche in questo caso è lontano dal dire sì in blocco: in genere non dice volentieri
      sì, preferisce dir no, e più ancora non dir nulla... Ciò vale per intere culture, ciò vale per i
      libri, - ciò vale anche per luoghi e paesaggi. In fondo, il numero di libri antichi che contano

      nella mia vita è assai limitato; e i più famosi non sono tra essi. Il mio senso per lo stile, per
      l'epigramma  come  stile  si  destò  quasi  all'improvviso  nell'accostarmi  a  Sallustio.  Non  ho
      dimenticato lo stupore del mio venerato maestro Corssen quando dovette dare il voto più alto
      al  suo  peggior  latinista  -,  avevo  finito  in  un  lampo.  Conciso,  rigoroso,  con  il  massimo
      possibile  di  sostanza  alla  base,  con  una  fredda  cattiveria  verso  la  «bella  parola»,  e  anche
      verso il «bel sentimento» - in questo io indovinai me stesso. Si riconoscerà in me, sin dentro il
      mio Zarathustra, una ambizione assai seria di stile romano, per ciò che nello stile è «aere
      perennius». - Non altrimenti mi successe al mio primo contatto con Orazio. Sino ad ora non ho

      provato con nessun altro poeta lo stesso rapimento artistico che mi diede sin dall'inizio un'ode
      di  Orazio.  Ciò  che  essa  raggiunge,  in  certe  lingue  non  lo  si  può  nemmeno  volere.  Questo
      mosaico di parole, in cui ogni parola espande la sua forza come suono, come posizione, come
      concetto, a destra e a sinistra e sopra il tutto, questo minimum nell'estensione e nel numero dei
      segni e questo maximum così ottenuto nell'energia dei segni - tutto ciò è romano e, se mi si

      vuol  credere,  aristocratico  par  excellence.  Al  suo  confronto  tutta  l'altra  poesia  diventa
      qualcosa di troppo popolare, - una mera loquacità del sentimento...

      2.
         Ai  Greci  non  debbo  assolutamente  nessuna  impressione  altrettanto  forte;  e,  per  parlar
      chiaro, essi non possono essere per noi quello che sono i Romani. Dai Greci non si impara -
      la  loro  natura  è  troppo  estranea,  e  anche  troppo  fluida,  per  avere  un  effetto  imperativo,

      «classico». Chi avrebbe mai imparato a scrivere da un Greco! Chi lo avrebbe mai imparato,
      senza i Romani!... E non mi si obietti Platone. In confronto a Platone io sono uno scettico
      radicale  e  sono  sempre  stato  incapace  di  unirmi  al  coro  di  ammirazione,  tradizionale  fra  i
      dotti, per l'artista Platone. Infine ho al mio fianco in ciò i più raffinati arbitri del gusto fra gli
      stessi antichi. Platone, a quanto mi sembra, mescola tutte le forme di stile, in questo egli è uno
      dei primi décadents dello stile: ha sulla coscienza qualcosa di simile a quello che avevano i

      cinici, che inventarono la satura menippea. Per sentirsi attratti dal dialogo platonico, questa
      specie di dialettica orribilmente compiaciuta e infantile, occorre non aver mai letto dei buoni
      Francesi - per esempio Fontenelle. Platone è noioso. - Infine la mia diffidenza verso Platone
      va  in  profondità:  lo  trovo  così  aberrante  da  tutti  gli  istinti  fondamentali  degli  Elleni,  così
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