Page 122 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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L'ipocrisia  si  addice  a  un'epoca  di  solida  fede:  nella  quale,  neppure  essendo  costretti  a

      ostentare  una  fede  diversa,  ci  si  separava  da  quella  che  si  aveva.  Oggi  ce  ne  separiamo;
      oppure, cosa ancor più consueta, ce ne addossiamo anche una seconda, - sinceri rimaniamo in
      ogni caso. Senza dubbio oggi è possibile avere un numero assai maggiore di convinzioni che
      non  una  volta:  possibile,  vale  a  dire  consentito,  vale  a  dire  non  dannoso.  Di  qui  nasce  la
      tolleranza  verso  se  stessi.  -  La  tolleranza  verso  se  stessi  consente  di  avere  numerose
      convinzioni: esse convivono pacificamente l'una accanto all'altra, - evitano, come tutti oggi, di
      compromettersi. Come ci si compromette oggi? Essendo coerenti. Andando dritti davanti a sé.

      Essendo meno che quintuplici. Essendo genuini... Temo assai che l'uomo moderno per alcuni
      vizi sia semplicemente troppo pigro: sicché questi vanno addirittura estinguendosi. Ogni cosa
      cattiva che sia condizionata da una forte volontà - e forse non esiste nulla di cattivo senza
      forza  di  volontà  -  nella  nostra  aria  tiepida  degenera  in  virtù...  I  pochi  ipocriti  che  ho
      conosciuto imitavano l'ipocrisia: erano, come oggi lo è quasi un uomo su dieci, degli attori. -


      19.
         Bello e brutto. - Nulla è più condizionato, diciamo anche più limitato, del nostro senso del
      bello.  Chi  volesse  pensarlo  scevro  del  piacere  che  l'uomo  prova  per  l'uomo,  perderebbe
      subito il terreno sotto i piedi. Il «bello in sé» è soltanto una parola, non è neppure un concetto.
      Nel  bello  l'uomo  si  pone  come  misura  di  perfezione:  in  determinati  casi  egli  vi  adora  se
      stesso. Una specie non può far altro che consentire in tal guisa soltanto a se stessa. Il suo
      istinto più basso, quello della conservazione e dell'accrescimento di sé, si irradia anche in

      queste sublimità. L'uomo crede il mondo stesso sovraccarico di bellezza, - egli dimentica di
      esserne la causa. Lui soltanto gli ha fatto dono della bellezza, ah!, solo di una bellezza umana,
      troppo  umana...  In  fondo  l'uomo  si  specchia  nelle  cose,  considera  bello  tutto  ciò  che  gli
      rimanda  la  sua  immagine:  il  giudizio  di  «bello»  è  la  vanità  della  sua  specie...  Un  piccolo
      sospetto  potrebbe  infatti  sussurrare  all'orecchio  dello  scettico  la  domanda:  il  mondo  è

      realmente abbellito dal fatto che l'uomo lo ritiene bello? Egli lo ha umanizzato: questo è tutto.
      Ma nulla, nulla affatto ci garantisce che proprio l'uomo rappresenti il modello della bellezza.
      Chissà che aspetto egli avrebbe agli occhi di un superiore giudice del gusto? forse temerario?
      forse  persino  divertente?  forse  un  po'  arbitrario?...  «Dioniso,  divino,  perché  mi  tiri  le
      orecchie?»,  chiese  una  volta  Arianna  al  suo  filosofico  amante  durante  uno  di  quei  famosi
      dialoghi a Nasso. «Trovo nelle tue orecchie qualcosa di spiritoso, Arianna: perché non sono
      ancora più lunghe?»


      20.
         Nulla è bello, soltanto l'uomo è bello: su questa ingenuità si basa ogni estetica, essa è la sua
      prima verità. Aggiungiamoci subito anche la sua seconda: nulla è brutto, tranne l'uomo che
      degenera, - così viene circoscritto l'ambito del giudizio estetico. - A una verifica fisiologica,
      ogni  bruttezza  indebolisce  e  affligge  l'uomo.  Essa  gli  ricorda  la  decadenza,  il  pericolo,

      l'impotenza;  l'uomo  ci  perde  realmente  in  forza.  Si  può  misurare  l'effetto  del  brutto  con  il
      dinamometro. Quando l'uomo in genere viene avvilito, allora fiuta la vicinanza di qualcosa di
      «brutto». Il suo senso di potenza, la sua volontà di potenza, il suo coraggio, il suo orgoglio -
      questo con il brutto cade, con il bello si potenzia... Nell'uno come nell'altro caso traiamo una
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