Page 119 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
P. 119

questo si comunicano sentimenti alle cose, le si costringe a prendere da noi, le si violenta -

      questo processo vien detto idealizzare. Sbarazziamoci qui di un pregiudizio: l'idealizzare non
      consiste, come comunemente si crede, nel togliere o eliminare ciò che è piccolo, secondario.
      Quel che importa è piuttosto spinger fuori, grandiosamente, i tratti principali in modo che gli
      altri scompaiano.

      9.
         In questa condizione si arricchisce tutto della propria pienezza: quel che si vede, quel che si

      vuole,  lo  si  vede  rigonfio,  compresso,  forte,  sovraccarico  di  forza.  In  questa  condizione
      l'uomo trasforma le cose, sino a che non riflettano la sua potenza, - sino a che non divengano
      riflessi della sua perfezione. Questo dover trasformare in qualcosa di perfetto è - arte. Anche
      tutto quello che egli non è, diviene tuttavia per lui piacere di sé; nell'arte l'uomo gode se stesso
      come  perfezione.  -  Sarebbe  lecito  immaginarsi  una  condizione  opposta,  una  specifica
      antiartisticità dell'istinto, - un modo di essere che impoverisca, assottigli, intisichisca tutte le

      cose.  E  in  effetti  la  storia  è  ricca  di  simili  antiartisti,  di  simili  affamati  della  vita:  che  di
      necessità  debbono  ancora  prendere  le  cose  per  come  sono  in  sé,  logorarle,  renderle  più
      misere. Questo è ad esempio il caso del vero cristiano, per esempio di Pascal: un cristiano
      che allo stesso tempo sia artista, non esiste... Non si sia puerili e non mi si obietti Raffaello o
      certi cristiani omeopatici del diciannovesimo secolo: Raffaello diceva Sì, Raffaello faceva
      Sì, di conseguenza Raffaello non era un cristiano...


      10.
         Che  cosa  significano  i  concetti  antitetici,  da  me  introdotti  nell'estetica,  di  apollineo  e
      dionisiaco, ambedue intesi come specie dell'ebbrezza? - L'ebbrezza apollinea tiene soprattutto
      eccitato l'occhio, sicché esso riceve la forza della visione. Il pittore, lo scultore, l'epico sono
      visionari  par  excellence.  Nello  stato  dionisiaco  viene  invece  eccitato  e  potenziato  l'intero

      sistema  degli  affetti:  sicché  questo  scarica  in  una  volta  tutti  i  suoi  mezzi  espressivi  e  allo
      stesso  tempo  fa  venir  fuori  la  forza  del  rappresentare,  del  riprodurre,  del  trasfigurare,  del
      trasformare,  ogni  specie  di  mimica  e  di  teatralità.  L'essenziale  rimane  la  facilità  della
      metamorfosi, l'incapacità di non reagire (- come avviene per certi isterici, i quali a un cenno
      qualunque entrano in qualunque ruolo). Per l'uomo dionisiaco è impossibile non capire una
      qualsiasi suggestione, egli non si lascia sfuggire alcun segno dell'affetto, possiede nel grado
      più alto l'istinto di comprendere e indovinare, così come possiede, nel grado più alto, l'arte di
      comunicare. Egli entra in ogni pelle, in ogni affetto: si trasforma continuamente. - La musica,

      così come l'intendiamo noi oggi, è ugualmente un'eccitazione e una scarica totale degli affetti,
      tuttavia  è  solo  il  residuo  di  una  sfera  espressiva  dell'affetto  molto  più  piena,  un  semplice
      residuum dell'istrionismo dionisiaco. Per rendere possibile la musica come arte particolare, si
      sono  messi  a  tacere  una  quantità  di  sensi,  soprattutto  il  senso  muscolare  (almeno
      relativamente:  poiché  in  un  certo  grado  ogni  ritmo  parla  ancora  ai  nostri  muscoli):  sicché

      l'uomo  non  imita  e  non  rappresenta  più,  subito  con  il  proprio  corpo,  tutto  ciò  che  sente.
      Tuttavia è questo il normale stato veramente dionisiaco, o comunque lo stato originario; la
      musica è la sua specificazione, lentamente raggiunta a spese delle facoltà più affini.
   114   115   116   117   118   119   120   121   122   123   124