Page 117 - Keplero. Una biografia scientifica
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Bisogna sottolineare come entrambi trascurino di citare, tra le
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loro fonti, il metodo con cui Nicola Oresme aveva
rappresentato, per primo, quello che chiameremmo in termini
moderni il grafico di una funzione, in particolare di una «qualità
uniformemente difforme», cioè che varia in modo costante,
proprio come la velocità nel moto uniformemente accelerato. Il
metodo si interessava sia del modo in cui variava la funzione
(problema differenziale), sia del modo in cui variava l’area
compresa sotto la curva (problema integrale). Per calcolare
questa area, Oresme la immaginava formata da moltissime linee
verticali o «indivisibili», ciascuna delle quali rappresentava
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l’intensità della grandezza in quel punto preciso .
Una simile rappresentazione grafica delle funzioni, chiamata
latitudo formarum, rimase un argomento molto studiato per
tutto il periodo compreso tra Oresme a Galilei, tanto che
Keplero e Galilei potrebbero apparire degli ingrati, se non si
considerassero le profonde differenze presenti nelle
dimostrazioni del 1604. Nella formulazione classica della tecnica
secondo Oresme vi era una grandezza detta «latitudine» e una
detta «longitudine», la prima intensiva e la seconda estensiva. In
particolare, nei casi studiati da Keplero e Galilei, avremmo
trovato in ordinata le velocità e in ascissa i tempi, mentre l’area
sottesa avrebbe rappresentato lo spazio percorso.
Né Keplero né Galilei si uniformano a questo linguaggio
geometrico effettivamente diffuso, ma scelgono una
rappresentazione molto più vicina a quello che è il problema
concreto che stanno studiando e, soprattutto, misurando. È
necessario ricordare come a Galilei non sarebbe stato difficile
accedere a una prima stesura della legge del moto