Page 53 - Keplero. Il cosmo come armonia di movimenti
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dirette ma, come leggiamo nel Sogno, patisce l’accusa di stregoneria a sua madre,
costretta a sette anni di prigione in condizioni così dure da causarne la morte poco dopo
la scarcerazione.
Keplero rinuncia completamente alla pubblicazione del libro, ma continua ad
arricchirlo di note fino alla morte, così che queste occupano uno spazio che è il triplo
del testo vero e proprio. Si tratta di commenti che hanno caratteristiche diverse: da un
lato le note riservate ai colleghi astronomi, che approfondiscono gli aspetti tecnici,
dall’altro lato gli appunti autobiografici e gli strali verso i filosofi e i teologi che
negano ed osteggiano gli sviluppi della scienza.
Alla morte dell’autore, il suo giovane aiutante Jakob Bartsch decide di dare alle
stampe il manoscritto, ma muore a sua volta prima di portare a termine il progetto. Sarà
infine il figlio, Ludwig, nel 1634, a curarne l’edizione che, secondo le volontà del
padre, è corredata da due appendici. La prima, Il volto della Luna dello scrittore greco
Plutarco, tradotta in latino dallo stesso Keplero, viene ritenuta dall’astronomo un’opera
quasi profetica alla luce delle scoperte di quegli anni. La seconda, l’Appendice
geografica o, se preferite, selenografica, è una lettera fantastica, in cui possiamo
addirittura trovare gli abitanti della Luna all’opera nel costruire fortificazioni. La lettera
è ispirata dagli enormi vantaggi offerti all’astronomia dal telescopio e indirizzata
all’amico gesuita Paul Guldin, che aveva procurato uno strumento a Keplero ai tempi
delle prime osservazioni galileiane.
Prima di entrare nel vivo della trama, dedichiamo ancora alcune righe alla tipologia
di racconto scelta da Keplero, che è quella del resoconto di un sogno. Le implicazioni
di questa decisione sono diverse. Da un lato c’è la speranza di sfuggire alle
persecuzioni, in quanto l’autore non pretende di descrivere situazioni reali, ma solo di
raccontare una fantasia indipendente dalla propria volontà. Dall’altro Keplero si lega a
una lunga tradizione, dalla Bibbia a Cicerone, da Platone a Plutarco, da Agostino ad
Alberto Magno, in cui il sogno permette di cogliere una verità non raggiungibile per il
solo tramite della ragione, spesso con il tramite di uno spirito sapiente.
Possiamo ora addentrarci nella trama del racconto, tenendo però presente che essa
si intreccia continuamente con metafore che alludono talvolta alla biografia di Keplero,
talvolta a riflessioni sulla scienza. Keplero dunque si addormenta e sogna di un
bambino, Duracoto, che è il suo stesso alter ego. Nato in Islanda, simbolo di un paese
magico ma isolato, Duracoto è figlio di un padre ignoto e di una madre, Fiolxhilde, che
pratica attività magiche e che, indispettita da un imprevisto, lo vende a un mercante di
passaggio. La famiglia del piccolo protagonista ricorda quella dello stesso Keplero, che
aveva descritto un padre sempre assente e una madre dal pessimo carattere e spesso
intenta a preparare intrugli erboristici.
Dopo impervie avventure, Duracoto trova rifugio in una sperduta isola, presso
l’astronomo Tycho Brahe, che nel libro conserva il proprio nome. Qui il ragazzo
apprende i segreti dell’astronomia pratica da colui che ne è il massimo maestro e mette
a paragone il modo in cui sull’isola si indaga la Luna, con rigore e costanza, con la
maniera in cui alla Luna guardava la madre, che con l’astro amava parlare. Si tratta di
un confronto metaforico tra l’approccio della scienza moderna e quello della
conoscenza popolare, che comprende astrologia ed alchimia, e Keplero, nel Sogno, si