Page 324 - Galileo. Scienziato e umanista.
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espressioni,  due  delle  quali  devono  essere  state  scritte  da  un
                copista poco attento o in malafede, poiché sono molto piú forti

                delle espressioni usate dallo stesso Galileo, e la terza delle quali
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                si  offre  di  «assumere  e  concedere»  Giosuè  10,12 .  Gli
                inquisitori  ebbero  l’impressione  che  Lorini  potesse  non  aver
                mandato una copia della lettera fedele all’originale, e scrissero

                quindi a Firenze per averne una. Dato che l’originale era meno

                compromettente della copia, sembrava che la tempesta potesse
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                chetarsi se le due parti fossero rimaste tranquille . Galileo optò
                per  un  attacco  preventivo:  chiese  a  Piero  Dini,  che  in  quel
                momento  ricopriva  un  incarico  all’interno  della  burocrazia

                vaticana  e  viveva  con  lo  zio,  il  cardinale  Ottavio  Bandini,  di
                inviare  delle  copie  corrette  della  Lettera  a  D.  Benedetto

                Castelli. «[C]redo che il piú presentaneo rimedio sia il battere
                alli Padri Gesuiti, come quelli che sanno assai sopra le comuni

                lettere  de’  frati».  Dopotutto,  scrisse  Galileo,  aveva  cercato  di
                evitare che chi a Roma si assume la responsabilità di prendere

                delle  decisioni  senza  avere  le  necessarie  informazioni  cadesse
                vittima  degli  inganni  dei  suoi  detrattori;  a  spingerlo  erano

                motivi  patriottici,  non  personali.  Certamente  i  gesuiti
                l’avrebbero  aiutato  a  superare  «la  malignità  ed  ignoranza  de’

                miei  avversari».  Galileo  ebbe  sempre  difficoltà  a  distinguere

                l’ignoranza dei suoi avversari dalla loro cattiveria. Per metterli a
                posto,  stava  dando  gli  ultimi  ritocchi  a  una  presentazione

                formale dei propri metodi ermeneutici e delle conclusioni a cui
                era  giunto,  che  doveva  circolare  in  forma  di  lettera  alla

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                granduchessa Cristina .
                    I  gesuiti  si  rifiutarono  di  andargli  in  aiuto.  Grienberger

                intravide  qualcosa  di  sofistico  nel  ragionamento  di  Galileo  e
                Bellarmino dubitava che l’uomo potesse mai arrivare alla verità

                in  campo  astronomico.  Non  vedeva  una  proibizione  contro  la
                teoria copernicana, disse a Dini, ma, forse, una direttiva perché

                la si considerasse un’ipotesi, un’utile finzione. All’inizio della
                propria  carriera  Bellarmino  aveva  elaborato  una  cosmologia
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