Page 157 - Galileo. Scienziato e umanista.
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fondatore, il giovane abate (e monsignore) Federico Cornaro.
Quali erano i suoi titoli? Era stato educato a Padova nelle
«professioni tutte a vero gentil’huomo convenientissime».
Cornaro collocò Galileo al quindicesimo posto, otto sotto
Cremonini 129 . Il gruppo passò i suoi primi due anni a rendersi
interessante e a mettersi in mostra. A una messa nella chiesa del
Santo seguí un’inaugurazione pubblica e solenne, cui
parteciparono tutti gli alti funzionari della città, i professori
dell’università e, eccezionalmente, le loro mogli. C’erano pochi
relatori e molta musica. Poi, gli accademici passarono alle cose
serie che li avrebbero tenuti occupati per mesi: il progetto delle
imprese, degli emblemi e dei motti specifici per ciascun
membro, e il logo aziendale per ognuno di loro. Durante una
sessione molto riservata del 23 maggio 1600 Galileo ricevette il
delicato incarico di controllare, rivedere e, se necessario,
respingere le imprese dei suoi colleghi. Dato che lo scudo e il
motto dovevano dimostrare la cultura, l’intelligenza e la bravura
del suo possessore, evidentemente Cornaro teneva in alta
considerazione la competenza e il buon gusto di Galileo e, per
quanto possa sembrare sorprendente, la sua diplomazia 130 .
Galileo diede anche una mano per il logo aziendale. Che cosa
sarebbe stato appropriato per un gruppo che si definiva
ricovrati, cioè ospiti di un ospedale (psichiatrico)? Prendendo
sul serio questo riferimento, Galileo scelse come suo nome
accademico Abbatutto, «depresso», forse avendo in mente le
proprie condizioni finanziarie e famigliari. Come impresa per
l’Accademia un antro a due ingressi, con la scritta bipatens
animis asylum, «ospedale per anime con due ingressi» 131 . Le
persone perspicaci avrebbero potuto riconoscere in queste
parole la parafrasi di un verso della Consolazione della filosofia
di Boezio, e nell’illustrazione una scena dell’Odissea di Omero.
Boezio aveva scritto: Hoc patens unum miseris asylum: «Qui un
disgraziato può trovare rifugio dai propri dolori». La disgrazia
in questione è quella di tutti coloro che sono vittime dei propri