Page 56 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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Cristina  di  Lorena,  figlia  del  duca  Carlo  di  Lorena,  nel

                1589 era andata sposa del granduca di Toscana Ferdinando I,
                cui aveva generato Cosimo II, ormai sul trono quando nel 1615

                Galileo  le  indirizzò  questa  lettera.  Dapprima  diffusa
                manoscritta, vide le stampe in Germania solo nel 1636, a cura

                di Mattia Bernegger. Nel 1605 Cristina aveva chiamato Galileo
                in Toscana perché curasse l’istruzione scientifica del principe

                ereditario, che si era molto legato al Maestro, al punto che nel
                1610  lo  nominò  suo  primario  matematico  e  filosofo,
                senz’obbligo  di  insegnamento  e  residenza  a  Corte.  D’altra

                parte dell’interesse dell’intera famiglia regnante per gli studi di
                Galileo si ha notizia dalla lettera a Benedetto Castelli, la prima

                riportata  in  questa  raccolta.  Nel  corso  della  lettera  Galileo
                polemizza con alcuni contemporanei, colpevoli a suo giudizio di

                abusare  delle  citazioni  della  Sacra  Scrittura  a  sostegno  di
                teorie  che  altro  non  sono  se  non  «vane  fantasie»,  smentite

                dall’esperienza  e  da  ineccepibili  dimostrazioni  scientifiche.  A
                proposito dei due esempi che fa in proposito, si devono almeno
                ricordare Francesco Sizzi, che nel 1611 negò la possibilità di

                esistenza dei cosiddetti “pianeti Medicei”, ovvero dei satelliti di
                Giove  scoperti  da  Galileo  e  da  lui  così  chiamati,  e  Giulio

                Cesare  Lagalla,  che  sostenne  esser  la  Luna  dotata  di  luce
                propria  contro  l’evidenza  delle  prove  astronomiche,  in  una

                pubblicazione che vide le stampe a Venezia nel 1612.



















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