Page 48 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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sono  impegnato  a  dimostrarlo  in  un  mio  scritto,  nei  limiti  di
                quanto Dio benedetto mi ha concesso di fare, non avendo mai in

                mente  altro  scopo  che  la  dignità  della  Santa  Chiesa  e  a
                nient’altro orientando le mie modeste fatiche; sono d’altra parte

                certo che questi miei sentimenti puri e ispirati da autentico zelo
                religioso appariranno chiari nel suddetto scritto, anche se fosse
                pieno di ogni sorta di errori o di osservazioni di poco rilievo. Lo

                avrei già inviato  a Vostra  Signoria Reverendissima  se ai  miei
                già  numerosi  e  gravi  disturbi  fisici  non  si  fosse  recentemente

                aggiunto un attacco di dolori acuti che mi ha messo non poco in
                difficoltà; in ogni caso ve lo spedirò al più presto. Anzi, ispirato
                dallo  stesso  zelo,  sto  raccogliendo  tutte  le  argomentazioni  di

                Copernico per metterle in una forma più chiara ai molti, dato
                che,  così  come  sono,  sono  difficili  da  capire;  intendo  inoltre

                aggiungervi  molte  altre  considerazioni,  sempre  fondate  su
                osservazioni  astronomiche,  sensate  esperienze  ed  eventi

                naturali,  per  offrirle  poi  al  Sommo  Pastore  e  all’autorità
                infallibile  della  Santa  Chiesa,  perché  ne  faccia  quell’uso  che

                parrà opportuno alla sua somma prudenza.
                     Quanto al parere del Reverendissimo Padre Grienberger, lo

                lodo  davvero  e  lascio  volentieri  la  fatica  di  interpretare  le
                Scritture a quelli che ne sanno infinitamente più di me. Ma il

                breve  scritto  che  inviai  a  Vostra  Signoria  Reverendissima,  è,
                come avete visto, una lettera privata, indirizzata più di un anno
                fa a un amico, perché lui solo la leggesse; avendone però egli a

                mia  insaputa  lasciata  circolare  una  copia,  e  venendo  a
                conoscenza che era capitata in mano alla stessa persona che mi

                aveva tanto duramente attaccato persino dal pulpito e che costui
                l’aveva recata con sé a Roma, mi parve una buona cosa che ce

                ne fosse un’altra copia, per poterne prendere visione in caso di
                necessità,  soprattutto  perché  egli  e  altri  filosofi  a  lui  molto

                stretti erano andati spargendo la voce che questa mia lettera era
                piena  di  eresie.  Non  ho  dunque  intenzione  di  porre  mano  a
                imprese tanto superiori alle mie forze; sono inoltre convinto che

                non si debba dubitare del fatto che la Benignità divina si degni



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