Page 142 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
P. 142
giustificazione appresso l’universale, del cui giudizio e
concetto, in materia di religione e di reputazione, devo far
grandissima stima, discorrer circa a quei particolari che costoro
vanno producendo per detestare ed abolire questa opinione, ed
in somma per dichiararla non pur falsa, ma eretica, facendosi
sempre scudo di un simulato zelo di religione e volendo pur
interessar le Scritture Sacre e farle in certo modo ministre de’
loro non sinceri proponimenti, col voler, di più, s’io non erro,
contro l’intenzion di quelle e de’ Santi Padri, estendere, per non
dir abusare, la loro autorità, sì che anco in conclusioni pure
naturali e non de Fide, si deve lasciar totalmente il senso e le
ragioni dimostrative per qualche luogo della Scrittura, che tal
volta sotto le apparenti parole potrà contener sentimento
diverso. Dove spero di dimostrar, con quanto più pio e religioso
zelo procedo io, che non fanno loro, mentre propongo non che
non si danni questo libro, ma che non si danni, come
vorrebbono essi, senza intenderlo, ascoltarlo, né pur vederlo, e
massime sendo autore che mai non tratta di cose attenenti a
religione o a fede, né con ragioni dependenti in modo alcuno da
autorità di Scritture Sacre, dove egli possa malamente averle
interpretate, ma sempre se ne sta su conclusioni naturali,
attenenti a i moti celesti, trattate con astronomiche e
geometriche dimostrazioni, fondate prima sopra sensate
esperienze ed accuratissime osservazioni. Non che egli non
avesse posto cura a i luoghi delle Sacre Lettere; ma perché
benissimo intendeva, che sendo tal sua dottrina dimostrata, non
poteva contrariare alle Scritture intese perfettamente: e però nel
fine della dedicatoria, parlando al Sommo Pontefice, dice così:
Si fortasse erunt matæologi, qui, cum omnium mathematum
ignari sint, tamen de illis iudicium assumunt, propter aliquem
locum Scripturæ, male ad suum propositum detortum, ausi
fuerint hoc meum institutum repræhendere ac insectari, illos
nihil moror, adeo ut etiam illorum iudicium tanquam
temerarium contemnam. Non enim obscurum est, Lactantium,
celebrem alioqui scriptorem, sed mathematicum parum,
142