Page 346 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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SIMP. Ecco dunque che l’aria mossa potrà ancora continuar il moto a i
proietti, conforme alla dottrina d’Aristotile: e ben mi pareva strana cosa
che egli avesse auto a errare in questo particolare.
SALV. Potrebbe senza dubbio, quando ella potesse continuarlo in sé
stessa; ma, sì come cessato il vento né le navi camminano né gli alberi si
spiantano, così non si continuando il moto nell’aria doppo che la pietra è
uscita della mano e fermatosi il braccio, resta che altro sia che l’aria quel
che fa muover il proietto.
SIMP. E come, cessato il vento, cessa il moto della nave? anzi si vede che
fermato il vento, ed anco ammainate le vele, il vassello dura a scorrer le
miglia intere.
SALV. Ma questo è contro di voi, Sig. Simplicio, poiché fermata l’aria,
che ferendo le vele conduceva il navilio, ad ogni modo senza l’aiuto del
mezo ei continua il corso.
SIMP. Si potrebbe dire che fusse l’acqua il mezo che conducesse la nave
e le mantenesse il moto.
SALV. Potrebbesi veramente dire, per dir tutto l’opposito del vero; perché
la verità è che l’acqua, con la sua gran resistenza all’esser aperta dal
corpo del vassello, con gran fremito gli contrasta, né gli lascia concepir a
gran pezzo quella velocità che il vento gli conferirebbe, quando
l’ostacolo dell’acqua non vi fusse. Voi, Sig. Simplicio, non dovete mai
aver posto mente con qual furia l’acqua venga strisciando intorno alla
barca, mentre ella, velocemente spinta da i remi o dal vento, scorre per
l’acqua stagnante; ché quando voi aveste badato a un tal effetto, non vi
verrebbe ora in pensiero di produr simil vanità: e vo comprendendo che
voi siate sin qui stato del gregge di coloro che per apprender come
passino simili negozi e per acquistar le notizie de gli effetti di natura, e’
non vadano su barche o intorno a balestre e artiglierie, ma si ritirano in
studio a scartabellar gl’indici e i repertorî per trovar se Aristotile ne ha
detto niente, ed assicurati che si sono del vero senso del testo, né più
oltre desiderano, né altro stimano che saper se ne possa.
SAGR. Felicità grande, e da esser loro molto
Felicità grande, e
invidiata; perché se il sapere è da tutti da essere invidiata,
naturalmente desiderato, e se tanto è l’essere
di quelli che si
quanto il darsi ad intender d’essere, essi persuadono di sapere
godono di un ben grandissimo, e posson
ogni cosa.
persuadersi d’intendere e di saper tutte le cose,
alla barba di quelli che conoscendo di non saper quel ch’e’ non sanno, ed
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