Page 345 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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confondere e smarrir il primo moto comune, ed in qual modo, restati che
ne sieno spogliati, e’ lo possano compensare e ragguagliar co ’l volo, e
tener dietro alle torri ed a gli alberi che di corso tanto precipitoso
fuggono verso levante: dico tanto precipitoso, che nel cerchio massimo
del globo è poco meno di mille miglia per ora, delle quali il volo delle
rondini non credo che ne faccia cinquanta.
SALV. Quando gli uccelli avessero a tener dietro al corso de gli alberi con
l’aiuto delle loro ali, starebbero freschi; e quando e’ venisser privati
dell’universal conversione, resterebbero tanto in dietro, e tanto furioso
apparirebbe il corso loro verso ponente, a chi però gli potesse vedere,
che supererebbe di assai quel d’una freccia; ma credo che noi non gli
potremmo scorgere, sì come non si veggono le palle d’artiglieria,
mentre, cacciate dalla furia del fuoco, scorron per aria. Ma la verità è che
il moto proprio de gli uccelli, dico del lor volare, non ha che far nulla co
’l moto universale, al quale né apporta aiuto né disaiuto; e quello che
mantiene inalterato cotal moto ne gli uccelli, è l’aria stessa per la quale
e’ vanno vagando, la quale, seguitando naturalmente la vertigine della
Terra, sì come conduce seco le nugole, così porta gli uccelli ed ogn’altra
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cosa che in essa si ritrovasse pendente: talché, quanto al seguir la
Terra, gli uccelli non v’hanno a pensare, e per questo servizio potrebbero
dormir sempre.
SAGR. Che l’aria possa condur seco le nugole, come materie facilissime
per la lor leggerezza ad esser mosse e come spogliate d’ogn’altra
inclinazione in contrario, anzi pur come materie participanti esse ancora
delle condizioni e proprietà terrene, capisco io senza difficultà veruna;
ma che gli uccelli, che, per esser animati, posson muoversi di moto anco
contrario al diurno, interrotto che l’abbiano, l’aria lo possa loro
restituire, mi pare alquanto duretto: e massime che son corpi solidi e
gravi; e noi, come di sopra s’è detto, veggiamo i sassi e gli altri corpi
gravi restar contumaci contro all’impeto dell’aria, e quando pure si
lascino superare, non acquistano mai tanta velocità quanto il vento che
gli conduce.
SALV. Non diamo, Sig. Sagredo, sì poca forza all’aria mossa, la qual è
potente a muovere e condurre i navili ben carichi ed a sbarbar le selve e
rovinar le torri, quando rapidamente ella si muove; né però in queste sì
violenti operazioni si può dire che il moto suo sia a gran lunga così
veloce come quello della diurna revoluzione.
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