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(424)  e  ad  Anfipoli  (422),  dando  prova  di  resistenza  fisica,  di  coraggio  e  di

          generosità, come quando salvò Alcibiade ferito e rinunciò alla ricompensa in favore
          dell’amico. Fece scarsissima esperienza di attività politica, come membro della buiè
          e come pritano nel processo delle Arginuse* (405). Quando, dopo l’infelice guerra
          del  Peloponneso  e  la  tirannia  dei  Trenta,  nella  Atene  dominata  dai  seguaci  di
          Trasibulo,  si  vollero  restaurare  i  valori  e  gli  ordinamenti  tradizionali,  si  fecero
          risalire la sconfitta militare e la decadenza politica alla disgregazione operata nella

          coscienza  dei  cittadini  dalla  nuova  cultura,  spregiudicata  e  dissacratrice,  di  cui
          Socrate era l’esponente col suo spirito critico. Il processo e la condanna di Socrate
          dovevano  forse  per  i  moderati  al  potere  avere  la  funzione  di  un  atto  esemplare,
          rivolto  con  intenti  intimidatori  a  tutti  gli  ostinati  e  gli  irriducibili.  Tre  cittadini,
          Meleto, Licone e Anito, molto legati ai maggiorenti della città, accusarono il filosofo
          di « non ritenere dèi quelli che tali considera lo Stato » e di « corrompere i giovani
          ». Alla esecuzione della condanna a morte si arrivò probabilmente contro la volontà

          di coloro che avevano montato il processo politico, per l’atteggiamento intransigente
          di  Socrate,  convinto  del  vantaggio  arrecato  alla  città  dalla  sua  azione  educatrice.
          Della  fermezza  e  della  dignità  con  cui  Socrate  ricusò  l’evasione  dal  carcere  e  si
          diede la morte bevendo la cicuta sono altissima testimonianza l’Apologia, il Critone
          e il Fedone.
          L’identificazione  di  filosofia  e  vita  realizzata  esemplarmente  da  Socrate  e  la

          mancanza  di  fonti  dirette  relative  al  suo  pensiero  hanno  reso  legittimo  l’uso  di
          molteplici  chiavi  per  la  decifrazione  del  suo  messaggio.  Già  fra  i  suoi  discepoli
          diretti,  da  Platone  ai  fondatori  delle  cosiddette  scuole  socratiche  minori,  si
          manifestarono  profonde  divergenze.  Nel  medioevo  Socrate  fu  visto  come  un
          anticipatore  dei  grandi  testimoni  del  cristianesimo;  nel  Rinascimento,  come  un
          modello di classico equilibrio; nel Settecento, come un precursore del razionalismo
          illuministico.  Hegel,  traducendo  in  termini  dialettici  l’interpretazione  aristotelica,

          trovò incarnato in  Socrate un momento cruciale della fenomenologia dello spirito,
          quello cioè in cui la soggettività si nega come particolarità e prende coscienza del
          suo  valore  universale.  Kierkegaard  insistette  sul  tema  dell’ironia,  considerando
          Socrate  soprattutto  come  un  distruttore  di  verità  ricevute  e  un  pensatore
          problematico. Nietzsche infine disprezzo in Socrate l’iniziatore della depravazione

          intellettualistica, che avrebbe umiliato e immiserito l’uomo occidentale. Le indagini
          specialistiche hanno oscillato fra la negazione della realtà storica di Socrate, ridotto
          così  a  finzione  letteraria,  e  l’accentuazione  o  dell’aspetto  pratico-educativo  o  di
          quello problematico-critico della sua personalità. Anche sulla questione dei rapporti
          con Platone esiste una ricca gamma di posizioni, comprese fra i due estremi di un
          Socrate  che  avrebbe  solo  posto  problemi  (H.  Maier)  e  di  un  Socrate  al  quale
          dovrebbero essere fatte risalire tutte le dottrine ritenute tipicamente platoniche (A. E.
          Taylor).

          In  tanta  varietà  di  opinioni  conviene  tenersi  fermi  a  quel  poco  che  può  essere
          affermato senza grandi forzature interpretative. Socrate iniziò la « vita filosofica »
          per dimostrare che l’oracolo di Delfi si era sbagliato, quando aveva risposto al suo
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