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immediatamente precedenti il 1848 la parte negativa del suo sistema, incentrata sulla
critica dell’istituto della proprietà privata (« la proprietà è il furto »), Proudhon
elaborò poi gli elementi centrali del suo socialismo mutualistico-creditizio. Poiché
gli squilibri sociali e lo sfruttamento del lavoro non nascevano a suo giudizio nella
sfera della produzione (come per Marx) ma in quella della circolazione delle merci,
per riorganizzare la società su basi di giustizia bisognava agire sui rapporti di
scambio, attraverso una riforma del sistema creditizio che assicurasse, con il «
credito gratuito », la possibilità a tutti di divenire produttori e scambiare le merci
prodotte sul mercato ricavandone il « giusto prezzo ». Parallelamente a questa
riforma economica, che avrebbe messo capo a una società di piccoli produttori
(senza ricorso alla lotta rivoluzionaria, ma come risultato di una conciliazione delle
classi), Proudhon sosteneva la necessità di una riforma politica, culminante
nell’abolizione dell’apparato statale e di ogni autorità oppressiva e nella sua
sostituzione con l’« anarchia », cioè con una società di libere unità produttive
organizzate dal basso verso l’alto.
Fino alle rivoluzioni del 1848, come si è visto, il centro principale di elaborazione
delle idee socialiste fu la Francia, e al socialismo francese si rifece anche W.
Weitling, il più notevole rappresentante del socialismo tedesco premarxista, che
sostenne una dottrina egualitario-comunista influenzata sia da un cristianesimo
neotestamentario sia dalle idee blanquiste sulla presa del potere per mezzo di colpi
di mano operati da minoranze.
Una svolta di importanza decisiva nella storia del socialismo è rappresentata dalla
pubblicazione (Londra, febbraio 1848) del Manifesto del partito comunista*, in cui
Marx ed Engels esponevano gli elementi essenziali del loro socialismo « scientifico
» (la storia come storia di lotte di classe; carattere classista dello Stato e contrasto
di fondo nella società capitalistica tra borghesia e proletariato industriale, unica
classe realmente rivoluzionaria che avrebbe costruito una società socialista).
Ma la prospettiva della creazione di un’organizzazione intemazionale dei lavoratori
indicata nell’appello finale del Manifesto (« Proletari di tutti i paesi, unitevi! ») non
poté concretarsi né nel 1848 né negli anni immediatamente successivi a causa della
sconfitta subita dalle forze rivoluzionarie e del prevalere di tendenze conservatrici o
apertamente reazionarie in quasi tutti i paesi europei. Negli anni 1850-1860 mentre il
movimento sindacale era ai suoi esordi, il socialismo restò dunque ancora un
movimento di idee, tra le quali ebbero una particolare rilevanza, per i successivi
sviluppi, quelle elaborate da alcuni pensatori e politici tedeschi e russi. Il tedesco J.
K. Rodbertus, come anche K. Mario (pseudonimo di K. Winkelblech) anticipò infatti
molte delle posizioni che divennero in seguito proprie del cosiddetto « socialismo
della cattedra », auspicando un intervento dello Stato per proteggere i lavoratori
dallo sfruttamento e regolare i salari, così da permettere agli operai di percepire i
frutti della crescente produttività. I russi Herzen e Černyševskij, antesignani del
populismo, sostennero dal canto loro la possibilità di arrivare in Russia, per via
rivoluzionaria, a un socialismo agrario che si avvalesse delle istituzioni collettive
ancora esistenti nel paese, saltando così la fase del capitalismo industriale.