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particolare di Hegel. Al ritorno in America (1876) subì profondamente l’influenza di

          Peirce  e  di  W.  James.  Dal  1882  alla  morte  tenne  la  cattedra  di  filosofia
          dell’università Harvard, Nel suo capolavoro (Il mondo e l’individuo, 1901-1902) il
          Royce prospetta una versione relativamente nuova della concezione idealistica del
          mondo: il reale è tutto presente in una coscienza assoluta, la cui « infinità attuale »
          non è incompatibile con l’esistenza autonoma degli individui. Per risolvere questo
          nodo classico di ogni concezione monistica il Royce utilizza la nozione di « serie

          autorappresentativa », derivandola dagli studi sulla teoria delle classi dei matematici
          Dedekind  e  G.  Cantor:  l’assoluto  è  come  un  «  sistema  autorappresentativo  »  che
          contiene in se stesso infinite parti individuali strutturate a sua immagine. L’esigenza
          di una fondazione non fittizia della autonomia e della libertà dell’individuo è il tema
          dominante degli scritti successivi del Royce. Fra essi occupa un posto particolare La
          filosofia della fedeltà (1908), nel quale il rapporto fra l’individuo e l’altro che lo
          trascende viene prospettato in termini di « fedeltà » (loyalty), e cioè di devozione a

          entità  e  valori  superindividuali.  La  sostanza  della  vita  morale  consiste
          nell’assunzione di un tale legame: valori ed enti mutano da momento a momento e da
          uomo a uomo, ma ciò che resta come struttura permanente è « la fedeltà alla fedeltà
          », la vita vissuta come impegno e devozione. Altre opere: L’aspetto religioso della
          filosofia  (1885), Lo spirito della filosofia moderna  (1892), Studi sul bene e sul
          male  (1898), La  concezione  dell’immortalità  (1900), Lineamenti  di  psicologia

          (1903), Il  problema  del  cristianesimo  (1913), Lezioni  sull’idealismo  moderno
          (postuma, 1919).
          Bibliogr.:  M.  J.  Aronson, La  philosophie  morale  de  J.  Royce,  Parigi  1927;  G.
          Marcel, La méthaphysique de Royce, Parigi 1945; J. H. Cotton, Royce on the human
          self, Cambridge (Mass.) 1954; V. Buranelli, J. Royce, Nuova York 1964; Aa. Vv., J.

          Royce, « Revue internationale de philosophie », 1967.
          RUSSELL (Bertrand, 3° conte), filosofo e matematico inglese (Trellek, Galles, 1872 -
          Penrhyndeudraeth,  Galles,  1970).  Lettore  di  filosofia  nel  Trinity  College  di
          Cambridge  dal  1910,  durante  la  prima  guerra  mondiale  fu  destituito  (1916)  per

          essere sceso in campo in difesa del pacifismo e dell’obiezione di coscienza.  Nel
          1918  scontò  per  le  stesse  ragioni  sei  mesi  di  prigione,  durante  i  quali  scrisse
          l’Introduzione alla filosofia matematica (1919). Dopo la guerra viaggiò in Russia e
          in Cina, e insegnò, a partire dal 1938, in alcune delle maggiori università americane,
          resistendo  con  giovanile  coraggio  alle  pressioni  dell’opinione  pubblica
          conservatrice, irritata dalla spregiudicatezza delle sue prese di posizione politiche.
          Dal 1944 tornò a vivere in Inghilterra, continuando instancabilmente la sua attività di

          scrittore e di conferenziere, incarnando emblematicamente il diritto al dissenso. Nel
          1950 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura.
          La lotta aperta contro l’armamento atomico e contro la guerra, la demistificazione
          della politica delle grandi potenze, la partecipazione personale alle manifestazioni
          pacifistiche  più  clamorose  hanno  fatto  di  Russell  un  personaggio  di  larghissima
          popolarità.

          Nel campo degli studi logico-filosofici il nome di Russell è legato soprattutto al suo
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