Page 730 - Dizionario di Filosofia
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inclusa nei domini del re di Prussia. Qui scrisse alcune lettere in propria difesa, una

          contro l’arcivescovo di  Parigi (Lettera a  Christophe de  Beaumont, 1763) e altre
          contro  il  Gran  consiglio  di  Ginevra  (Lettere  dalla  montagna,  1764)  e  contro
          Voltaire,  al  quale  nel  1756  aveva  già  indirizzato  la  polemica Lettera  sulla
          provvidenza.  Snidato dal suo rifugio, dovunque malvisto e perseguitato,  Rousseau
          poté comunque trascorrere due mesi (1765) particolarmente piacevoli nell’isoletta di
          Saint-Pierre,  in  mezzo  al  lago  di  Bienne.  Parve  infine  che  il  lungo  peregrinare

          dovesse trovare la sua conclusione nella tranquilla ospitalità di Strasburgo, ma qui
          Rousseau fu raggiunto dall’invito di Hume a recarsi in Inghilterra (1766). Nonostante
          la discrezione e la tolleranza del grande filosofo inglese, Rousseau, ormai in preda
          alla mania di persecuzione, ruppe anche con lui e tornò in Francia (1767). Dapprima
          non osò fermarsi a Parigi: solo nel 1770 vi rimise piede, cercando di guadagnarsi la
          vita  col  vecchio  mestiere  di  copista  di  musica.  Nel  frattempo,  fra  due  progetti  di
          riforme  politiche  destinati  alla  Corsica  (1765)  e  alla  Polonia  (1772),  Rousseau

          aveva portato a termine le Confessioni, pubblicate nel 1782-1789, ma circolanti nel
          testo  manoscritto  già  intorno  al  1770.  L’opera  conteneva  troppe  indiscrezioni  e
          allusioni  imbarazzanti  od  offensive  a  personaggi  ancora  viventi.  L’autore  dovette
          affrontare, ormai vecchio e stanco, una nuova ondata di ostilità. Scrisse ancora due
          opere,  che  uscirono  postume:  i Tre dialoghi (Rousseau giudice di  Jean-Jacques)
          [1789] e le Meditazioni del passeggiatore solitario (1782). Accolto dal marchese

          de  Girardin  nel  castello  di  Ermenonville  (22  maggio  1778),  Rousseau  vi  morì
          all’improvviso circa due mesi dopo.
          È di Madame de Staël l’affermazione che Rousseau « non ha scoperto nulla, ma ha
          infiammato tutto ».  In una società dominata dalla nuova aristocrazia dei filosofi e
          degli scienziati  Rousseau, che fu un irregolare della cultura, non legato a nessuna
          scuola o accademia, rivendicò il primato dell’io come sentimento e spontaneità. La
          natura  degli  scienziati,  freddo  meccanismo  di  materia  e  movimento,  non  parla  al

          cuore dell’uomo. Ma la natura vivente è un flusso che si manifesta nell’uomo nella
          infallibilità dell’istinto e nella forza travolgente del sentimento. È la società con il
          suo  mortificante  intrico  di  convenienze  e  di  leggi  che  rende  l’uomo  schiavo  di
          bisogni  e  di  obblighi  artificiali,  e  perciò  egoista  e  malvagio,  inquieto  e  infelice.
          Questo  rimpianto  dell’originario  e  del  primitivo,  assai  diffuso  nella  cultura  del

          Settecento, diventa in Rousseau motivo dominante, insieme con la denuncia risentita
          dei  guasti  prodotti  dalla  ragione  e  dal  cosiddetto  progresso.  Il  rimedio  che  egli
          propone  non  è  tuttavia  quello  semplicistico  della  distruzione  della  civiltà  e  del
          ritorno al mitico « stato di natura ». Rousseau vuole invece indicare il « dover essere
          » di quelle istituzioni fondamentali che, proprio perché radicalmente deviate rispetto
          alla loro forma naturale, portano anche la maggiore responsabilità della corruzione e
          dell’infelicità  dell’uomo.  Così  nel Contratto sociale luoghi comuni della filosofia
          politica come « stato di natura » e « contratto » assumono un valore del tutto nuovo.

          La « volontà generale » è il fondamento della sovranità dello Stato; l’individuo si
          realizza  nella  pienezza  della  sua  persona  in  quanto  diviene  cittadino;  l’ingenuo  e
          schietto  «  amore  di  sé  »,  che  implica  anche  il  sentimento  naturale  di  essere  in
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