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Nella logica, l’analisi consiste nella risoluzione di qualsiasi nozione e operazione

          logica,  di  qualsiasi  oggetto  d’indagine,  nei  suoi  elementi  costitutivi,  attraverso  un
          procedimento  regressivo  che  giunge  fino  alle  parti  semplici,  ossia  fino  ai  dati
          fondamentali o termini indefinibili in cui si scompone la nozione analizzata. In questo
          senso il procedimento dell’analisi fu già usato da Aristotele (v. ANALITICI primi e
          secondi).  Nella  filosofia  moderna  e  contemporanea,  in  particolare dal  sec. XVIII,
          prevale la tendenza a considerare l’analisi come un metodo fecondo di risultati e ad

          applicarlo a qualsiasi campo d’indagine (analisi storica, analisi sociologica, ecc.).
          In  particolare  nell’empirismo  logico,  si  elabora  un  complesso  di  tecniche  per
          l’analisi  del  linguaggio,  allo  scopo  di  eliminare  le  confusioni  e  le  ambiguità
          mediante  la  determinazione  e  il  controllo  del  significato  delle  proposizioni  e  dei
          singoli segni.
          ANALÌTICA.  Per  Aristotele  l’analitica  è  quella  parte  della  logica  in  cui  vengono

          analizzate  le  forme  del  ragionamento  ed  è  esposta  la  dottrina  del  sillogismo
          dimostrativo o apodittico. (V. ANALITICI primi e secondi.) Kant, nella Critica della
          ragion  pura,         chiamò analitica  trascendentale  quella  parte  della  logica
          trascendentale (l’altra parte è la dialettica), che si propone di scomporre ogni nostra
          conoscenza negli elementi puri o a priori che l’intelletto vi apporta. Essa si divide in

          analitica dei concetti, che, attraverso l’analisi della stessa facoltà intellettiva, ha
          per scopo di spiegare la possibilità dei concetti a priori, ricercandoli unicamente
          nell’intelletto come nella loro propria fonte, e analitica dei princìpi, che espone la
          dottrina  del  giudizio,  ossia  le  norme  che  regolano  l’applicazione  ai  fenomeni  dei
          concetti  dell’intelletto.  Nelle  altre  due Critiche,  Kant  fa  uso  delle  espressioni
          analitica  della  ragion  pratica,  analitica  del  bello,  analitica  del  sublime  per
          indicare l’esposizione dei princìpi che servono a determinare le idee del dovere, del
          bello, del sublime.

          ANALITICITÀ.  In  filosofìa,  la  proprietà  di  un  giudizio  analitico*  di  esser  valido
          indipendentemente dal ricorso all’esperienza.
          ANALÌTICO. Si dice, da Kant in poi, quel giudizio in cui il predicato esprime ciò che

          è logicamente implicito nel concetto del soggetto.  Basta quindi analizzare uno dei
          due termini per ricavarne l’altro, senza dover ricorrere all’esperienza. Esso è quindi
          universale  e  necessario,  ma  non  accresce  la  nostra  conoscenza:  si  contrappone  al
          giudizio sintetico*. Nella logica contemporanea, le proposizioni analitiche vengono
          considerate tautologie (Wittgenstein).
          Metodo  analitico  si  dice  un  metodo  di  ricerca  fondato  sull’analisi*.  Esso  viene
          precisato  da  Cartesio,  in  contrapposizione  al metodo  sintetico,  usato

          prevalentemente da Euclide e dagli antichi geometri, che partivano da pochi princìpi
          e attraverso una lunga serie di definizioni, postulati, assiomi e teoremi giungevano
          alla  complessità  dei  risultati  e  degli  effetti:  viceversa  nel  metodo  analitico,  che
          risale  dal  complesso  al  semplice,  si  segue  la  vera  via  in  cui  le  verità  sono  state
          trovate, o potevano essere trovate, e si vede come gli effetti dipendano dalle cause.
          Nello stesso senso viene definito il metodo analitico anche da Leibniz, Wolff e Kant.

          Secondo  Kant,  il  metodo  sintetico  è progressivo,  mentre  quello  analitico  è
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