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inferiore e mutevole, contrapposto all’immutabile universo ideale o alla realtà non
fisica oggetto della « filosofia prima ». La svalutazione della natura così intesa si
accentuò col neoplatonismo e col cristianesimo: per il primo essa tende a coincidere
col non essere, mentre l’ascetismo cristiano vede sì nella natura una testimonianza
del potere divino, ma soprattutto un complesso di tentazioni che deviano l’uomo dal
suo destino oltremondano. Nella filosofia del medioevo il termine natura fu
preferibilmente usato come equivalente di essenza: Scoto Eriugena definisce Dio «
natura non creata e creante » e Averroè distingue Dio, « natura naturante », dal
mondo creato, « natura naturata », introducendo la terminologia che sarà poi ripresa
da Spinoza. Il concetto della natura come causa efficiente e finale e come totalità
vivente e necessaria è al centro del naturalismo rinascimentale. Bruno osserva che,
mentre l’arte umana può solo operare alla superfìcie delle cose, « la natura opra dal
centro, per dir cossi, del suo oggetto o materia, che è al tutto informe ». Dalla
filosofia rinascimentale si viene gradualmente districando la moderna scienza della
natura. Una celebre immagine di Galileo presenta la natura come un grande libro
scritto in caratteri matematici, mentre per Bacone il progresso dell’umanità dipende
dall’acquisizione di tecniche efficaci di dominio della natura: « Perché il fine di
questa impresa non è soltanto una soddisfazione intellettuale, ma la realtà stessa del
benessere dell’umanità e tutto il suo potere di azione. L’uomo infatti, ministro e
interprete della natura, tanto può agire e comprendere, quanto intorno all’ordine
della natura avrà appreso con l’azione e col pensiero. Di più né sa, né può. Nessuna
forza invero può spezzare la catena delle cause, né la natura può venir vinta
altrimenti che ubbidendole ». Per Kant la natura è « l’ordine dei fenomeni, secondo
regole necessarie, o leggi » e questo ordine è la risultante dell’attività conoscitiva
dell’io.
Lo sviluppo delle scienze naturali non ha affatto impedito, anche se ha spesso
manifestamente condizionato, la elaborazione di ulteriori « filosofìe della natura ».
La subordinazione della natura all’io o all’idea, come strumento e condizione della
loro piena esplicazione, è caratteristica dell’idealismo classico tedesco (Fichte e
Hegel) e delle filosofie che a esso si ispirano. Schelling per parte sua postula
l’identità di natura e spirito e sostiene che « la vita è l’universale respiro della
natura ». Allo spiritualismo ottocentesco è familiare il concetto, ripreso da Bergson,
della natura come degradazione e stasi provvisoria della libera creatività dello
spirito. Il positivismo tentò un’interpretazione unitaria della natura, utilizzando
ampiamente il concetto di evoluzione (Spencer), mentre la nozione del carattere «
storico » della natura e del suo indissolubile legame con la prassi umana appare
l’aspetto più caratteristico dell’impostazione marxista del problema.
Nella scienza e nella filosofia contemporanee si è venuta sempre più accentuando la
diffidenza dinanzi alle nozioni poco determinate e alle parole dai sensi molteplici.
Oggi « natura » è per lo scienziato e per il filosofo solo un termine ricco di risonanze
emotive, che indica genericamente il campo degli oggetti in cui trovano applicazione
efficace le tecniche di osservazione e di indagine, di cui l’uomo si trova di volta in
volta a disporre.