Page 589 - Dizionario di Filosofia
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inferiore e mutevole, contrapposto all’immutabile universo ideale o alla realtà non

          fisica oggetto della « filosofia prima ». La svalutazione della natura così intesa si
          accentuò col neoplatonismo e col cristianesimo: per il primo essa tende a coincidere
          col non essere, mentre l’ascetismo cristiano vede sì nella natura una testimonianza
          del potere divino, ma soprattutto un complesso di tentazioni che deviano l’uomo dal
          suo  destino  oltremondano.  Nella  filosofia  del  medioevo  il  termine  natura  fu
          preferibilmente usato come equivalente di essenza: Scoto Eriugena definisce Dio «

          natura  non  creata  e  creante  »  e  Averroè  distingue  Dio,  «  natura  naturante  »,  dal
          mondo creato, « natura naturata », introducendo la terminologia che sarà poi ripresa
          da  Spinoza.  Il concetto della natura come causa efficiente e finale e come totalità
          vivente e necessaria è al centro del naturalismo rinascimentale. Bruno osserva che,
          mentre l’arte umana può solo operare alla superfìcie delle cose, « la natura opra dal
          centro,  per  dir  cossi,  del  suo  oggetto  o  materia,  che  è  al  tutto  informe  ».  Dalla
          filosofia rinascimentale si viene gradualmente districando la moderna scienza della

          natura.  Una  celebre  immagine  di  Galileo  presenta  la  natura  come  un  grande  libro
          scritto in caratteri matematici, mentre per Bacone il progresso dell’umanità dipende
          dall’acquisizione  di  tecniche  efficaci  di  dominio  della  natura:  «  Perché  il  fine  di
          questa impresa non è soltanto una soddisfazione intellettuale, ma la realtà stessa del
          benessere  dell’umanità  e  tutto  il  suo  potere  di  azione.  L’uomo  infatti,  ministro  e
          interprete  della  natura,  tanto  può  agire  e  comprendere,  quanto  intorno  all’ordine

          della natura avrà appreso con l’azione e col pensiero. Di più né sa, né può. Nessuna
          forza  invero  può  spezzare  la  catena  delle  cause,  né  la  natura  può  venir  vinta
          altrimenti che ubbidendole ». Per Kant la natura è « l’ordine dei fenomeni, secondo
          regole necessarie, o leggi » e questo ordine è la risultante dell’attività conoscitiva
          dell’io.
          Lo  sviluppo  delle  scienze  naturali  non  ha  affatto  impedito,  anche  se  ha  spesso
          manifestamente condizionato, la elaborazione di ulteriori « filosofìe della natura ».

          La subordinazione della natura all’io o all’idea, come strumento e condizione della
          loro  piena  esplicazione,  è  caratteristica  dell’idealismo  classico tedesco  (Fichte  e
          Hegel)  e  delle  filosofie  che  a  esso  si  ispirano.  Schelling  per  parte  sua  postula
          l’identità  di  natura  e  spirito  e  sostiene  che  «  la  vita  è  l’universale  respiro  della
          natura ». Allo spiritualismo ottocentesco è familiare il concetto, ripreso da Bergson,

          della  natura  come  degradazione  e  stasi  provvisoria  della  libera  creatività  dello
          spirito.  Il  positivismo  tentò  un’interpretazione  unitaria  della  natura,  utilizzando
          ampiamente  il  concetto  di evoluzione (Spencer), mentre la nozione del carattere «
          storico  »  della  natura  e  del  suo  indissolubile  legame  con  la  prassi  umana  appare
          l’aspetto più caratteristico dell’impostazione marxista del problema.
          Nella scienza e nella filosofia contemporanee si è venuta sempre più accentuando la

          diffidenza dinanzi alle nozioni poco determinate e alle parole dai sensi molteplici.
          Oggi « natura » è per lo scienziato e per il filosofo solo un termine ricco di risonanze
          emotive, che indica genericamente il campo degli oggetti in cui trovano applicazione
          efficace le tecniche di osservazione e di indagine, di cui l’uomo si trova di volta in
          volta a disporre.
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