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strutture logiche, sensoriali, ecc.
• L’origine, la funzione e il valore di verità del mito sono stati variamente
interpretati nella storia della filosofia occidentale. Per Platone, come del resto per
Aristotele, il mito è, secondo i casi, l’antitesi della verità o anche un modo di
approssimarsi a essa, legittimo soprattutto quando si tratti di avventurarsi in regioni
non suscettibili di essere esplorate dal pensiero razionale. A questa funzione
integrativa del discorso filosofico rispondono i celebri miti presentati nei momenti
cruciali di alcuni dialoghi platonici, come il mito della caverna, il mito di Er
Armenio, il mito di Eros, ecc. Su una linea più scopertamente intellettualistica si
colloca l’interpretazione del mito come spiegazione imperfetta dei fenomeni naturali:
per l’Illuminismo in genere e per la sociologia positivistica il mito si costituisce per
una deformazione fantastica dei fatti osservati ed è destinato a essere sostituito
presto o tardi dal sapere scientifico e dalla sua verità. La concezione del Vico,
ripresa e per lo più caricata di risonanze irrazionalistiche nell’età romantica,
riconosce invece nel mito una forma autentica di verità, la quale va perciò intesa
dall’interno e non rapportata a una unità di misura eterogenea, come è il pensiero
razionale. Nel mito alcuni filosofi romantici (per es. Schelling) videro per parte loro
un modo diretto di manifestazione dell’Assoluto, sicché l’interpretazione del mito
venne a costituire una delle vie più sicure per raggiungere il cuore segreto della
realtà. Per il Croce il mito è una ibrida mescolanza di immaginazione e di pensiero,
pericolosa come guida per l’azione e fuorviante come criterio interpretativo della
storia. Analisi assai acute della struttura del pensiero mitico ha fornito nell’età
moderna il Cassirer, per il quale nel mito è essenziale l’indistinzione fra il simbolo e
il suo oggetto. Dal punto di vista psicoanalitico il mito è stato studiato soprattutto da
Jung, che ha visto in esso l’espressione di un « inconscio collettivo » anteriore
all’inconscio individuale e capace di imporre a quest’ultimo i suoi simboli più
profondi e più carichi di forza emotiva.
MODALE. Relativo ai modi della sostanza. Ad es.: Esistenza modale dell’individuo
significa che l’individuo esiste solo come modo o modificazione della sostanza, e
non come sostanza esso stesso. Con i primi commentatori di Aristotele e con la
logica scolastica si consolidò l’uso di chiamare modali le proposizioni che
esprimono una forma di inerenza del predicato al soggetto diversa da quella indicata
dalla semplice asserzione (che costituisce comunque anch’essa un modo): venivano
perciò dette modali le proposizioni possibili e le necessarie.
MODALITÀ. Nella logica, le differenti forme della predicazione. Ci sono
proposizioni in cui si afferma semplicemente l’inerenza del soggetto ai predicato,
altre in cui tale inerenza è proposta come possibile, altre in cui è asserita come
necessaria.
La distinzione dei tre modi dell’inerenza (l’inerenza pura e semplice, la possibilità e
la necessità) risale ad Aristotele e dalla logica aristotelica è giunta, attraverso la
scolastica e Wolff, fino a Kant: nella Critica della ragion pura i giudizi sono distinti
in problematici, assertori e apodittici, secondo che l’affermare (o il negare) si
presenti rispettivamente come possibile, reale, necessario. La logica moderna non ha