Page 574 - Dizionario di Filosofia
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strutture logiche, sensoriali, ecc.

          •  L’origine,  la  funzione  e  il  valore  di  verità  del  mito  sono  stati  variamente
          interpretati nella storia della filosofia occidentale. Per Platone, come del resto per
          Aristotele,  il  mito  è,  secondo  i  casi,  l’antitesi  della  verità  o  anche  un  modo  di
          approssimarsi a essa, legittimo soprattutto quando si tratti di avventurarsi in regioni
          non  suscettibili  di  essere  esplorate  dal  pensiero  razionale.  A  questa  funzione
          integrativa del discorso filosofico rispondono i celebri miti presentati nei momenti

          cruciali  di  alcuni  dialoghi  platonici,  come  il mito  della  caverna,  il mito  di  Er
          Armenio,  il mito di  Eros, ecc.  Su una linea più scopertamente intellettualistica si
          colloca l’interpretazione del mito come spiegazione imperfetta dei fenomeni naturali:
          per l’Illuminismo in genere e per la sociologia positivistica il mito si costituisce per
          una  deformazione  fantastica  dei  fatti  osservati  ed  è  destinato  a  essere  sostituito
          presto  o  tardi  dal  sapere  scientifico  e  dalla  sua  verità.  La  concezione  del  Vico,
          ripresa  e  per  lo  più  caricata  di  risonanze  irrazionalistiche  nell’età  romantica,

          riconosce invece nel mito una forma autentica di verità, la quale va perciò intesa
          dall’interno e non rapportata a una unità di misura eterogenea, come è il pensiero
          razionale. Nel mito alcuni filosofi romantici (per es. Schelling) videro per parte loro
          un  modo  diretto  di  manifestazione  dell’Assoluto,  sicché  l’interpretazione  del  mito
          venne  a  costituire  una  delle  vie  più  sicure  per  raggiungere  il  cuore  segreto  della
          realtà. Per il Croce il mito è una ibrida mescolanza di immaginazione e di pensiero,

          pericolosa come guida per l’azione e fuorviante come criterio interpretativo della
          storia.  Analisi  assai  acute  della  struttura  del  pensiero  mitico  ha  fornito  nell’età
          moderna il Cassirer, per il quale nel mito è essenziale l’indistinzione fra il simbolo e
          il suo oggetto. Dal punto di vista psicoanalitico il mito è stato studiato soprattutto da
          Jung,  che  ha  visto  in  esso  l’espressione  di  un  «  inconscio  collettivo  »  anteriore
          all’inconscio  individuale  e  capace  di  imporre  a  quest’ultimo  i  suoi  simboli  più
          profondi e più carichi di forza emotiva.

          MODALE. Relativo ai modi della sostanza. Ad es.: Esistenza modale dell’individuo
          significa che l’individuo esiste solo come modo o modificazione della sostanza, e
          non  come  sostanza  esso  stesso.  Con  i  primi  commentatori  di  Aristotele  e  con  la
          logica  scolastica  si  consolidò  l’uso  di  chiamare modali  le  proposizioni  che

          esprimono una forma di inerenza del predicato al soggetto diversa da quella indicata
          dalla semplice asserzione (che costituisce comunque anch’essa un modo): venivano
          perciò dette modali le proposizioni possibili e le necessarie.
          MODALITÀ.  Nella  logica,  le  differenti  forme  della  predicazione.  Ci  sono
          proposizioni in cui si afferma semplicemente l’inerenza del soggetto ai predicato,
          altre  in  cui  tale  inerenza  è  proposta  come  possibile,  altre  in  cui  è  asserita  come

          necessaria.
          La distinzione dei tre modi dell’inerenza (l’inerenza pura e semplice, la possibilità e
          la necessità) risale ad Aristotele e dalla logica aristotelica è giunta, attraverso la
          scolastica e Wolff, fino a Kant: nella Critica della ragion pura i giudizi sono distinti
          in  problematici,  assertori  e  apodittici,  secondo  che  l’affermare  (o  il  negare)  si
          presenti rispettivamente come possibile, reale, necessario. La logica moderna non ha
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