Page 48 - Dizionario di Filosofia
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seu Scito te ipsum,  dopo  il  1129)  e  un Dialogus inter  Judaeum, philosophum et

          christianum  (1141);  da  ricordare  inoltre  la  autobiografia  (Historia  calamitatum
          mearum,  verso  il  1136),  alcuni  poemetti  (Planctus)  e  il  carteggio  con  Eloisa
          (Lettere di Abelardo ed Eloisa).
          Bibliogr.: Le opere di A., ad esclusione degli scritti di logica, sono comprese nel

          vol. 178 della Patrologia latina del Migne; altre edizioni, anche degli inediti, quelle
          a  cura  di  Cousin,  Parigi  1836  e  1849-1859; Epistolario,  a  cura  di  C.  Ottaviano,
          Palermo  1934; Conosci  te  stesso,  a  cura  di  M.  Dal  Pra,  Vicenza  1941; Oeuvres
          choisies, a cura di M. De Gandillac, Parigi 1945; Scritti di logica, a cura di M. Dal
          Pra,  Firenze  1969;  su  A.:  E.  Gilson, Héloise  et  Abélard,  Parigi  1948  (trad.  it.:
          Torino 1950); M. T. Fumagallli, La logica di Abelardo, Firenze 1964; J. G. Sikes,
          Peter Abelard, Cambridge 1965; F. Alessio, Abelardo, Milano 1967.

          ABITO.  Disposizione  costante  a  essere  o  ad  agire  in  un  determinato  modo.  Si
          distingue dall’abitudine* perché, mentre questa è diventata un meccanismo acquisito
          che implica un minimo sforzo, l’abito invece è una disposizione assunta che continua
          a impegnare la volontà: in questo senso « la virtù è un abito » (Aristotele). • Abito
          (habitus) indica, come avere, anche una delle categorie aristoteliche, lo stato.

          ABITUDINE.  Circa  l’interpretazione  del  fenomeno  dell’abitudine,  si  possono
          individuare, nella storia della filosofia, diverse tendenze. Una prima, che si ritrova
          già negli atomisti antichi e, in una forma più precisa, in Cartesio e nella sua scuola,
          spiega  fisiologicamente  l’abitudine,  riducendola  a  un  puro  fenomeno  fisico  e
          meccanico.  Un’altra,  che  si  può  far  risalire  ad  Aristotele  ed  è  rappresentata  da
          Leibniz, Maine de Biran, Ravaisson, Boutroux, Bergson e, in genere, da spiritualisti

          e idealisti sottolinea la spontaneità originaria degli atti che, successivamente ripetuti,
          costituiscono  il  formarsi  dell’abitudine  è  stato  assunto  dagli  spiritualisti  vitalisti
          (Ravaisson,  Boutroux,  Bergson)  come  modello  per  dimostrare  che  lo  spirito  può
          farsi  natura,  la  spontaneità  divenire  meccanismo.  Carattere  particolare  riveste
          l’abitudine in Hume, che ne fa il fondamento individuale, pratico e psicologico delle

          nostre  credenze  naturali  (nella  causalità  e  nell’esistenza  del  mondo  esterno).  Dal
          punto di vista etico-pedagogico grande importanza ha la abitudine, come fu messo in
          rilievo  per  primo  da  Aristotele,  che  la  valutò  positivamente,  come  mezzo  di
          formazione morale; al contrario Rousseau e Kant la considerarono come negazione
          della libera iniziativa, della spontaneità dello spirito. La psicologia e la pedagogia
          contemporanee hanno precisato che l’abitudine permette all’individuo di adattarsi al
          mondo  e  ai  mutamenti  ambientali,  contribuisce  alla  formazione  del  carattere,  crea

          nuovi bisogni, ma anche nuove attitudini.
          ABŪ AL-FARAǴ (Gregorio). V. BAREBREO.

          ABŪ AL-WAFAĀ’ MUBASSHIR  IBN FĀTIK, filosofo arabo dell’XI sec., autore di una
          raccolta di sentenze morali (1053) che fu tradotta in latino nel XIII sec. da Giovanni
          da Procida col titolo Liber philosophorum moralium antiquorum (in un manoscritto
          di Venezia la versione è attribuita a Roberto d’Angiò, re di Napoli).
          ACATALESSÌA,  O  ACATALÈSSI  (a  priv.  e  gr. katálēpsis,  comprensione).  Per  gli
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