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Il problema che sta alla base della Critica del giudizio* (1790) può essere
presentato nel modo seguente. Da un certo punto di vista il mondo dei fenomeni e
quello costituito dalle coscienze morali autonome sembrano privi di ogni
comunicazione e destinati a non interferire mai l’uno con l’altro. Tuttavia nella vita
etica è implicita l’esigenza che si realizzi in qualche modo un ordine morale nel
mondo: l’idea di una totale indifferenza dell’universo fisico alla tensione dell’azione
morale, che pure in esso finisce sempre per scaricarsi, è per lo meno disperante. Non
è verosimile invece che il mondo dei fenomeni sia in qualche modo già predisposto
per accogliere la volontà morale? E in ogni caso possiede l’uomo un organo capace
di percepire questa riposta dimensione dell’universo fisico? Secondo Kant un tale
organo esiste ed è il sentimento, come principio dei giudizi riflettenti. La nostra «
facoltà di giudicare » (die Urteilskraft) si esplica, oltre che come attività
conoscitiva vera e propria, anche come ricerca di una plausibile forma universale,
entro la quale il molteplice della natura acquisti senso e unità: non si tratta di
un’operazione conoscitiva, ma solo della percezione « sentimentale » di una
dimensione del mondo, che il puro intelletto non è qualificato a cogliere. Il giudizio
riflettente si manifesta in due forme, il giudizio estetico e il giudizio teleologico.
Mediante il primo l’uomo percepisce nel mondo fenomenico un felice accordo con la
propria libertà interiore. Allora la realtà sensibile oggetto della contemplazione
acquista i caratteri della bellezza (o anche, in certi casi, della sublimità). La parte
della Critica del giudizio dedicata all’analisi del giudizio estetico è un capitolo
fondamentale della storia dell’estetica moderna. Nel giudizio teleologico viene
invece intravista la finalità immanente nella natura e nella storia: non si tratta invero
di un arricchimento della nostra conoscenza della realtà, ma solo di un’integrazione
non teoretica dell’unica valida interpretazione scientifica del mondo, che è quella
deterministica.
Oltre a quelle citate, le opere principali di Kant sono: Prolegomeni ad ogni futura
metafisica che intenda presentarsi come scienza* (1783); Fondazione delia
metafisica dei costumi* (1785); Primi principi metafisici della scienza della
natura (1786); La religione entro i limiti della semplice ragione (1794), opera di
ispirazione deistica che procurò a Kant una censura e il divieto di svolgere lezioni
sull’argomento; Per la pace perpetua (1795), uno scritto di particolare interesse, nel
quale viene formulata la previsione che i danni crescenti dei conflitti armati
obbligheranno gli Stati a sottoporsi a organismi internazionali; La metafisica dei
costumi (1797); L’antropologia dal punto di vista pragmatico (1798); Logica
(1800); Opus posthumum, appunti e frammenti vari, inclusi in due volumi
dell’edizione delle opere complete. Per l’influsso esercitato da Kant sulla storia
della filosofia, si veda anche KANTISMO.
Bibliogr.: Sämtliche Werke, a cura della Reale Accademia delle Scienze Prussiana,
23 voll., Berlino 1902-1955; in italiano: Critica della ragion pura, a cura di G.
Gentile, G. Lombardo Radice e V. Mathieu, 2 voll., Bari 1966; Critica della ragion
pratica, a cura di F. Capra e E. Garin, Bari 1970; Critica del giudizio, a cura di A.
Gargiulo e V. Verra, Bari 1967; Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, R.