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dell’origine del sistema. Sulla pericolosa facilità delle ipotesi metafisicoteologiche
e sulla inevitabile arbitrarietà di esse Kant ritornò più esplicitamente nello scritto
del 1766 I sogni di un visionario spiegati dai sogni della metafisica. La critica
(parola che nell’uso kantiano conserva l’accezione originaria di sentenza motivata
sulla legittimità di una pretesa) venne prospettandosi così sempre più chiaramente
come il compito fondamentale della filosofia: a tale conclusione Kant giunse anche
per l’influenza della lettura di Hume, che lo risvegliò dal « sonno dogmatico ».
La fase costruttiva del criticismo ebbe inizio nel 1770, con la pubblicazione della
dissertazione latina Sulla forma e sui principi del mondo sensibile e intelligibile
(De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis). In essa viene
affrontato il duplice problema dell’origine della nostra conoscenza e dei limiti della
ragione, la cui trattazione fu poi sviluppata in forma più sistematica nella Critica
della ragion pura* del 1781. La conoscenza umana è nel suo complesso un contesto
di giudizi, che possono essere analitici o sintetici. Un giudizio è analitico quando in
esso viene attribuita al soggetto una qualità implicita nel concetto di questo. La
norma della convenienza del predicato al soggetto va ricercata in tal caso nei soli
principi logici di identità e di non contraddizione. Nel giudizio analitico « il
triangolo ha tre angoli » la qualità esplicitamente designata dal predicato è enucleata
per analisi fra tutte quelle inerenti al soggetto. Un giudizio analitico non amplia la
conoscenza umana e ha funzione meramente discorsiva e chiarificatrice. Tutti i
giudizi analitici sono a priori, nel senso che il riferimento del predicato al soggetto è
fondato non su di una verifica empirica, ma unicamente sulla non contraddittorietà di
questi. In ciò sta anche il fondamento della incondizionata validità di tali giudizi. Nei
giudizi sintetici invece viene attribuita al soggetto una qualità nuova, non desumibile
dal concetto di esso: l’affermazione « i corpi sono pesanti » non sarebbe possibile,
se non si fosse ricavata dall’esperienza la nozione dell’inerenza della qualità « peso
» ai corpi. I giudizi sintetici sono dunque a posteriori e arricchiscono la nostra
conoscenza, ma, come aveva osservato Hume, mancano di quella incondizionata
validità che caratterizza i giudizi analitici: essi non sono né universali, né necessari.
Pure, quello che noi chiamiamo scienza (la matematica e la fisica in particolare)
presenta la caratteristica singolare di essere costituito da giudizi che sono sintetici,
dunque estensivi del sapere, e tuttavia universali e necessari. Fra una qualunque
affermazione di fatto e un giudizio scientifico la differenza sta appunto nel carattere
di incondizionata validità del secondo: il torto di Hume è quello di aver creduto
illusoria una tale distinzione. Ma, una volta dato per riconosciuto il fatto
dell’esistenza storica del sapere scientifico, il compito della filosofia diventa quello
di provare come un tale sapere sia possibile, di individuare cioè le condizioni
necessarie e sufficienti perché siano costruibili giudizi sintetici a priori. Tutta la
storia della filosofia moderna d’altra parte avverte che è vano e pericoloso cercare
fuori di noi il fondamento della necessità e della universalità del sapere:
l’alternativa già verificata oscilla fra la negazione scettica della possibilità della
scienza, che entra manifestamente in conflitto con la realtà, e la fondazione
dell’universalità sulla base di un ordine metafisico del tutto gratuito e arbitrario. La