Page 265 - Dizionario di Filosofia
P. 265

che  fu  chiamato  nel  1326  dal  papa  Giovanni  XXII  a  far  parte  della  commissione

          incaricata di giudicare gli scritti di Occam. Fu tra i pensatori che accelerarono la
          dissoluzione  critica  della  scolastica,  in  quanto,  con  Duns  Scoto,  anch’egli  ritenne
          fede e ragione due ambiti d’esperienza sostanzialmente diversi. Si ritiene solitamente
          che abbandonasse il realismo per sostenere con grande convinzione il nominalismo,
          ma  la  sua  posizione  dottrinale  non  è  ancora  stabilita  con  certezza  dagli  storici.
          Autore  di  un Commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, tre volte redatto e più

          volte edito.
          Bibliogr.:  M.  T.  Beonio  Brocchieri  Fumagalli, Durando di  S.  Porziano.  Elementi
          filosofici della terza redazione del « Commento alle sentenze », Firenze 1969.
          DURATA.  L’opposizione  tra durata e tempo, sostenuta da molti filosofi e in modo

          particolare  da  Cartesio  e  dai  suoi  seguaci,  è  stata  ripresa  in  tempi  moderni  da
          Bergson: durata  bergsoniana  è  un  termine-concetto  già  entrato  nel  linguaggio
          filosofico.  Secondo  Bergson la durata è l’espressione medesima della vita, che il
          tempo  invece  cristallizza  e  imprigiona  in  sezioni  rigide,  puramente  utilitarie,
          analoghe alle divisioni spaziali. La durata è un dato immediato della coscienza, pura
          successione, arricchimento costante e perennemente libero: è il tessuto che forma la

          nostra esistenza, mentre il tempo non è altro che una costruzione astratta e arbitraria.
          DURKHEIM (Emile), sociologo francese (Epinal, Vosgi, 1859-Parigi 1917). Docente
          di sociologia alla Sorbona dal 1902, fondò e diresse l‘Année sociologique (1896-
          1912). Nell’analisi dei fenomeni sociali, abbandonò il metodo analogico, fino allora
          seguito,  che  studiava  la  società  come  un  organismo  biologico  oppure  come  una

          proiezione  di  fatti  psichici  individuali.  Al  contrario,  ritenne  la  società  un  fatto
          autonomo, da indagare mediante l’osservazione diretta, e in essa vide essenzialmente
          il prodotto della coscienza collettiva, ovvero della sintesi, e non della somma, delle
          coscienze  individuali.  Sostenne  che  la  morale  è  «  scienza  dei  costumi  »  e  come
          questa è strettamente dipendente dai diversi tipi di società. Lo sviluppo morale di un
          individuo risulta quindi indipendente dai fattori biologici e psicologici, essendo il

          risultato dei costumi del gruppo cui egli appartiene. La morale non è intesa come un
          tutto  statico,  ma  come  continuamente  rinnovantesi  per  l’apporto  individuale
          (percezione)  delle  coscienze  più  evolute,  e  per  le  trasformazioni  dei  costumi
          (riforme)  che  avvengono  all’interno  stesso  dei  gruppi.  Le  sue  tesi  sociologiche
          esercitarono  notevole  influenza  sugli  studi  etnologici,  ai  quali  Durkheim  diede  un
          importante  contributo  soprattutto  nel  campo  delle  ricerche  sulle  strutture  sociali,
          sulla  formazione  delle  idee  religiose  e  sull’evoluzione  delle  idee  morali  presso  i

          popoli allo stato di natura.
          Bibliogr.: In italiano sono disponibili: La divisione del lavoro sociale, a cura di A.
          Pizzorno, Milano 1962; Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, a
          cura di C. A. Viano, Milano 1963; Le forme elementari della vita religiosa, a cura

          di R. Cantoni, Milano 1963; Il suicidio, a cura di L. Cavalli, Torino 1969; su D.: P.
          Leguay, E.  Durkheim,  Parigi  1912;  M.  Mauss, In memoriam: l’oeuvre inédite de
          Durkheim et de ses collaborateurs, « Année sociologique », 1923; T. Parsons, La
   260   261   262   263   264   265   266   267   268   269   270